Subject: Re: Origine della personalità Date: Thu, 03 Sep 2009 14:39:17 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.discussioni.psicologia Roberto wrote: > > Ciao a tutti, vorrei porvi un "semplice" quesito: cosa forma il > carattere e la personalità di una persona? Le esperienze che viviamo > durante la nostra crescita (origine ambientale) oppure è già tutto > scritto nel nostro dna (origine genetica)? O tutte e due le cose messe > insieme? Cosa dice la scienza su questo argomento? > Ringrazio anticipatamente chi risponderà. E' un tema che la scienza tratta (l'origine della personalità) -> chiedendosi non tanto cosa sia la personalità o il carattere, ma da cosa dipenda un "effetto" se non da una causa. La persona -con il suo agire- può essere misurata essere una fenomenologia, per la scienza. Ora, però -se tu metti due persone diverse nella stessa situazione- non sempre si comportano alla stessa maniera. La scienza -con la teoria dei sistemi- dice che un output (composto anche da più azioni) dipende da alcuni fatti. Li elenco: -Gli input -Gli output (ossia lo specifico outuput o1(t1), può dipendere dalla misura di se stesso (in istanti precedenti) o da altri concomitanti output, ad esempio tramite il principio di feedback, detto anche di controreazione: misura dell'output riportato in ingresso al sistema) -lo stato del sistema (il cosiddetto "contesto") -la funzione di trasferimento f (f è come vengono elaborati gli input prima di andare in output) La matematica del novecento, sopratutto con Godel e Turing, ma anche con i lavori sul linguaggio di Chomsky, trova che -in particolare nel caso del linguaggio umano- vi sono generazioni di stringhe *non apprese", ergo l'uomo non è emulabile da un automa a stati finiti (da una macchina che si basi solo su ciò che apprende), quindi l'uomo inventa ciò che *non* ha imparato. Ciò influisce sulla struttura di sistema, in particolare sulla cosiddetta "funzione di trasferimento", ossia l'uomo si riprogramma senza che lo faccia né a conseguenza (solo) degli input, né (solo) degli output, né (solo) dello stato, ma (anche) per sua scelta. Ciò sembra violare il principio di causa ed effetto. Poiché se una persona fa qualcosa e introduce una dinamica comportamentale non appresa, ad esempio inventa la ruota, prima che questa fosse nota, sembrerebbe che l'invenzione della ruota debba dipendere da qualcosa di concreto, ricostruibile nella sua dinamica di genesi. Però non viola il principio di causa ed effetto, perché si potrebbe dire che due masse -ad esempio- si attraggono a causa dell'esistenza delle due masse. Analogamente il primo che inventò la ruota fu sia influenzato dal contesto (la seconda massa), ma anche dalla unicità del suo esserci, come entità pensante (rappresentante la prima massa, per continuare nell'analogia). Ossia il contributo del singolo non è il solo, ma non vale zero, bensì il contributo del singolo è diverso da zero, anzi è unico, irrinunciabile, irripetibile, propriamente _soggettivo_. Da ciò -tra l'altro- discende il carattere di soggettività della ricerca psicologica, visto che si interessa di soggetti (persone) e non di oggetti (cose). La psicologia -nello studio della psiche- utilizza quindi gli strumenti della scienza per misurare ciò che esprime un soggetto (persona), ma non ha una cura che non debba essere accolta -se scelta- come condivisibile e poi condivisa, visto che all'uomo si attribuisce la capacità di intendere e di volere. Molte elaborazioni di info avvengono -è noto- a livello inconscio. Molte info sono nel dna, anche questo è noto. Ma il pensiero ha una azione di supervisione che si deve accollare la responsabilità di una cibernao, ossia della responsabilità di tenere il timone della nave che è la nostra mente. Quando una persona si dissocia mentalmente, come ad esempio si può osservare nella schizofrenia, la persona perde la capacità -almeno in parte- di costruire il proprio id, nel processo detto di id-enti-farsi(fare sé stesso), identificarsi. Può succedere per molte ragioni, anche come fuga dallo stato coscienziale, ma spesso per problemi fisici quasi sempre accompagnati da alterazioni dello stato di veglia e di sonno, assunzioni di droghe et altro. Per quello che qui a noi interessa è però rilevabile che un soggetto non si comporta usualmente in modo standard, anche se relazionato. E lo stato di relazione è uno dei parametri che dicono che la persona è equilibrata. Non appena la persona perde la capacità, se la perde, di condursi nelle attività della vita, si osserva subito che non sa giustificare le sue stramberie, che non era assodato che fossero stramberie, tanto quanto dal fatto che -interrogato- non sa motivare il perché del _suo_ agire, perché non agisce, ma è agito, se è "disturbato". Tanto più una persona è agita, anziché essere lui il soggetto agente, tanto più è grave la sua patologia. E ciò ci dice che lo stato naturale della persona umana è essere relazionato e intenzionato a dire la sua come contributo che è cosciente dipendere dalla sua responsabilità come fatto finale, sentito ciò che aveva voluto sentire, valutato ciò che aveva voluto valutare. Il "cogito ergo sum" con cui Cartesio fonda l'era moderna, diviene allora la conquista -psicologicamente- della posizione eretta, per l'uomo, la sua dignità. Il riconoscimento che è la dignità del nostro pensiero che ci entifica nel contributo non automatico, ma soggettivo che sapemmo dare. Per una pietra è un contributo ripetitivo, soggetto a leggi che dipendono da una massa fisica. Per una persona è un contributo raramente ripetitivo anche se fosse in catena di montaggio in una fabbrica. Perché la persona aborrisce la insignificanza e tende a colorare di sé ogni cosa e a lasciare la una impronta che permetta di riconoscere -anche solo da un tratto- un diritto al pensiero che pensò -da un'eureka!- il domani .. Grazie dell'argomento, L