Subject: Re: [disastro] Implicazione Materiale Date: Wed, 11 Mar 2009 08:44:29 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato Davide Pioggia wrote: > > thisDeadBoy ha scritto: > > > E vi ringrazio molto dei tanti consigli. > > Tuttavia volevo se possibile rimanere, al > > momento, fermo sulla "logica enunciativa" > > senza *aprire* gli elementi della tabella. > > Mi sembra che abbiamo risposto anche a questo. > > Infatti qualcuno ti ha suggerito di "aggiungere significato" e io ti ho > detto che un modo di "aggiungere significato" è quello di considerare > la seguente espressione: > > "se A allora B" > > come equivalente a questa: > > "non capita mai che A sia vera e B falsa" > > Dunque: > > A -> B = ~(A & ~B) > > da cui: > > A -> B = ~A V B > > Dunque la seguente implicazione: > > "se A allora B" > > è vera > se A è falsa > oppure (e questo è un oppure inclusivo) > se B è vera. > > Abbiamo così ottenuto una "interpretazione" della implicazione secondo la > quale *quando l'antecedente è falsa l'implicazione è sempre vera*, > mentre se l'antecedente è vera affinché l'implicazione sia vera bisogna che > sia vera la conseguente. > > Ora, se tu ti metti a ragionare intensamente sul "perché" l'implicazione è > sempre vera quando l'antecedente è falsa, dopo un po' ti potrà anche > sembrare di avere "capito il perché", ma in realtà da qualche parte avrai > "aggiunto significato", perché non c'è niente da fare: affidandosi alla > intuizione comune della implicazione "quella riga" *resta indeterminata*, > e l'unica maniera per renderla determinata è quella di "aggiungere > significato". > > E - orrore! - quel "significato aggiunto" uno glielo aggiunge > *come gli pare e piace*, o come *gli fa comodo*. > > Così se uno mi chiede "perché" io interpreto l'implicazione > > "se A allora B" > > in questo modo: > > "non capita mai che A sia vera e B falsa" > > io non gli dico che ci sono arrivato dopo averci pensato talmente > intensamente da aver colto "l'essenza della implicazione" o altre cose così, > ma gli rispondo semplicemente che sfrutto quella indeterminazione per > "aggiungere significato" nel modo che mi fa più comodo, e questa scelta > particolare mi semplifica la vita quando ci sono da dimostrare certi > teoremi. > > Ma se qualcuno decidesse di "aggiungere significato" in qualche altro modo > non mi metterei a discutere su chi abbia ragione di noi due, perché sarebbe > una discussione senza senso. > > Così se io ti fornisco l'equazione: > > y = 2 x > > tale equazione ti dice solo che y è pari al doppio di x, e non c'è proprio > verso di tirare fuori da essa un valore univoco per x e per y. Se vuoi > trovare un valore univoco ti tocca *aggiungere una equazione*, > e aggiungerla in modo tale che essa si limiti a "completare il sistema", > senza essere incompatibile con la prima equazione. > > Ecco, quando io ho *deciso* di "interpretare" la implicazione in quel modo > e non in un altro non ho fatto altro che "completare il sistema". > > Dunque se tu vuoi sapere "il perché" ti rispondo che "non c'è il perché", > o al limite dovrei dire "perché mi piace" (e solitamente piace anche a molti > di coloro che hanno passato parecchio tempo sulla logica, perché consente > di ricavare molti "risultati eleganti"). > > -- > Saluti. > D. Aggiungerei che la tipologia di trattazione che tu, caro davide, operi non è la sola possibile. E' -la tua- per chi non pone distinzione tra i sistemi formali e i sistemi naturali. Per chi si interessa invece dei sistemi artificiali non vi è il problema di interpretare. Infatti c'è solo da creare un meccanismo di "azione" -> "reazione", tra input -> output. La "logica" allora, diviene solo una regola di corrispondenza, che può essere rappresentata da tabelle di corrispondenza tra I/O. Naturalmente, se ci volessimo muovere su un piano filosofico ci potremmo domandare -come del resto tu hai fatto- del perché si prediligono certe modalità di discrimine e organizzative tra situazioni di input e output. Ma non abbiamo ancora toccato -in questa dotta discussione- del fatto che «l'implicazione grazie a regola» è se si sa ben guardare un metodo di proiezione da uno spazio di rappresentazione ad un sottospazio di rappresentazione. O per dirlo ancora in un'altra maniera: un muoversi dal generale (spazio A) al particolare (spazio B). Perché -allora- siamo interessati a ciò? E' una domanda -se ci si riflette- che attiene ad una metodologia di impostazione filosofica: Si ambisce a conoscere tutti i casi enumerabili per avere una sottoschiera di casi come deducibili dalla trattazione generale. Aggiungo quindi che il mio modesto contributo -negli ultimi anni di studio sui problemi di cognizione- è stato proprio notare che il problema centrale NON è -a mio avviso- la zippatura, o anche detto il problema di Godel sul potersi pronunciare partendo da una teoria generale su tutti i casi specifici di stringa osservabile, ma l'inverso. Quelle che alcuni chiamano euristiche, perché non avrebbero una ampiezza generale è un problema che non è un problema marginale, ma una questione di metodo. Ossia se e quando sia utilizzabile non il formarsi una idea sul che cosa fare stimando i casi generali come assodati .. ma ammettere di disporre di basi di dati limitate e quindi solo di insiemi più ristretti di una trattazione che possa dirsi generale. Cosa si può fare in ambito scientifico se si prende coscienza che è solo un problema psicologico e di autorassicurazione il pensare di avere o poter avere solo trattazioni generali? Si tratta -semplicemente- di aspettarsi si potere/volere guardare -per esempio- uno spazio tridimensionale da uno bidimensionale o uno quadrimensionale da uno tridimensionale, o, in generale, interessarsi delle tecniche di indagine da sottospazi vs spazi di maggiore ampiezza. E' una questione che non invento io. Si tratta dell'approccio bottom up, o dal particolare all'universale. In specie, vorrei argomentare, (per fare un altro esempio: il test di Turing) che siamo ancora in una situazione di stallo nella interazione uomo macchina proprio perché ci si interroga come fare interagire un automa che emette stringhe ad un call center verso un umano che lo interroga. Un paio di giorni fa al programma su rai 3 "neapolis" -però- una ditta italiana diceva che aveva un software che rispondeva dove potere andare a vedere un film che un umano chiedeva ad un call center artificiale, tutto in linguaggio naturale (la richiesta dell'umano al call center, senza una struttura formale di porre la domanda). Io non credo che ciò sia vero al 100%, nel software proposto. Magari il call center divide per aree tematiche e poi basta che controllo il titolo del film tra quelli in archivio. Però tutto lo studio della AI si sta muovendo sul problema che vi sto accennando: "come si fa a passare da un insieme particolare ad uno maggiore?" E' una questione di strategie solutive. L'equazione aggiunta al sistema, che tu esplicitavi, e dicevi che è una forzatura, diviene non una sola forzatura ma un processo alle intenzioni ... ossia andare a immaginare come evolverebbe -normalmente- uno scenario e andare a inseguire un target. E' come il cambiare di strategia di ricerca di un min o max a secondo della distanza dal min o max. Nella elaborazione numerica si studia che ci sono -a secondo del contesto- necessità di flessibilità strategica legata al contesto. Se il sistema che sta cercando il min nota che la curva semplicemente decresce, può procedere a grandi passi e ridurre il tempo di elaborazione. Se -invece- vede che c'è stato un cambio di pendenza nella curva è legittimo che torni indietro e vada a scandire la curva con un passo di scansione più minuto, più piccolo, per vedere di stimare dove sia il cambio di pendenza e quindi trovare un minimo locale e poi confrontarlo con altri valori per valutare se è solo locale o globale al campo di indagine. Quindi il problema della filosofia ritorna quello di Socrate: "rendersi conto di sapere di non sapere". Se si parte da questo allora si organizza un processo alle intenzioni e però si può valutare che siamo vicino al vero non perché il vero lo avevamo già in tasca, ma perché abbiamo permesso al reale di partorirlo da sé e dircelo a noi. Grazie dell'occasione, L