Subject: Re: La neurologia prova scientificamente la non libertà umana [su AI & NI (Artificial Natural Intelligence)] Date: Fri, 13 Jun 2008 10:16:02 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.ateismo,it.cultura.religioni OK, ti vedo molto ferrato sulla questione degli automi e quindi proviamo ad entrare nel dettaglio. Vado a leggere: "F.M.Arouet" wrote: [...] > Se io dico di essere un automa a stati finiti perche' tu ne deduci che > io non mi amo? > Perche' mai gli automi a stati finiti non si possono amare? L: Giusta osservazione. Ti faccio notare -però- che mentre gli automi si associano psicologicamente (direi per riflesso associativo) alla tecnica, viceversa se si vuol fare un regalo semplice e gentile si regala roba viva! Per esempio un fiore! Comunque sui gusti personali non è terreno di disputa, ognuno ha diritto alla sua sensibilità. Io ho costruito numerosi automi a stati finiti, anche proprio come macchine, è una cosa interessante, non mi sono mica stressato nel farlo. Noto solo che è una attività di design, non uno stato emozionale. Invece, se guardo una donna che mi piace, ad esempio, o se vedo un bambino su una altalena, sento delle emozioni non un impegno progettuale. Comunque ciascuno ha le sue passioni. C'è quello che ama le piante. C'è quello che fa collezione di monete antiche. etc. Non mi pare il caso di dedicare molto tempo alle questioni emotive, altrimenti ci mettiamo a fare psicoanalisi, mentre stiamo provando a fare ragionamenti sulla struttura logica che motiva l'agire degli automi e delle persone. L: > > Che senso ha -inoltre- (come un automa, se fosse questa la convinzione, > > almeno esplorata) lasciarsi usare come se fossimo macchine? "F.M.Arouet" wrote: > Secondo me siamo macchine. Ma che vuol dire lasciarci usare? > Usare da chi? > Nessuno ci ha costruito, nessuno ci ha programmato. > Nessuno ci manipola. > Agiamo in conseguenza di cio' che siamo, il che mi pare ovvio. > Siamo schiavi solo di noi stessi, e non vedo come potrebbe essere > altrimenti. > Ma io non sono responsabile di essere alto 1,65 e di avere i capelli > neri, > dovrei invece essere responsabile dei miei desideri, della mia > intelligenza/stupidita', > delle mie inclinazioni, ecc.? Sì, sei responsabile di ciò che desideri. Perché sarai una persona _diversa_ a secondo di ciò che desideri. E ciò che desideri dipende da te, come atto finale, sentito quello che dovevi sentire, considerato quello che volevi approfondire. Un po' come quando in una sentenza un giudice cita tutti gli articoli di legge che motiverebbero la sua sentenza, ma -in ultima analisi- dice come si pronuncia. Infatti per molti casi che danno ragione a una tesi, un numero paragonabile di casi (magari deformati per poterli citare) danno ragione ad una tesi opposta. E quindi una sentenza è sempre prendersi una responsabilità di volere. Il volere connota l'id, ossia il processo di id-enti-farsi. Di connotarsi, di farsi ente, modellando l'id, il proprio essere come si è. E' anche detta capacità di autopoiesi. L: > > Ma torniamo al fatto che noi potremmo essere una "macchina" pur > > complessa, come un automa. "F.M.Arouet" wrote: > Qual e' l'alternativa. > Secondo te non funzioniamo come un automa? > Allora, un automa "prende una decisione" (cioe' produce un'uscita e > cambia di stato) in funzione degli input che riceve e dello stato in > cui si trova. > Un uomo non prende le sue decisioni in funzione degli input esterni > che riceve e di cio' che e' (il suo stato)? > Secondo te invece come prende una decisione un uomo? L: Questa domanda che poni è molto intelligente. Riassumendo: "In cosa sarebbe un uomo non riducibile a una procedura, una macchina?" Se infatti facciamo il parallelo tra -la soluzione di un sistema di equazioni & un uomo -la soluzione di un sistema di equazione & una macchina .. in entrambe i casi il sistema di equazioni potrebbe giustificare sia l'output di un uomo, sia l'output di una macchina. Se io dicessi diversamente -> starei violando -infatti- il principio di causa ed effetto. Ora -però- chi si intende di teoria dei modelli sa che un modello tiene conto di un fenomeno in modo approssimativo, ossia introduce un errore tra ciò che dice il modello e ciò che dice la misura sui casi reali. Quindi se noi costruissimo un modello che cerchi -a partire da un comportamento (quindi dalla soluzione del sistema matematico che racconta come dagli input e dallo status si passa all'output)- le ragioni che hanno causato un atto, mentre per una macchina il modello riesce a essere predittivo al 100%, nel caso di una persona umana non si riesce ad "azzeccarci" sempre. Da cosa è causato questo "scollamento"? Da un fatto che notava anche Chomsky quando si pose il problema di simulare il linguaggio umano: Le regole che segue un uomo non sono predicibili, né -potenzialmente- in numero finito. Ossia una persona è in grado non solo di seguire un "programma", ma anche di riprogrammarsi -> da sè! Ossia io esco che devo passare al supermercato, andare a prender i bambini a scuola, etc e -alla luce di ciò che mi succede, ma anche da una mia scelta non causata dagli inputs, non causata dallo status, ossia non causa -solo- "dall'esterno" -> decido -> di fare diversamente! Ossia l'autopoiesi, il porre senza pensare che il nostro agire sia originato solo dal "fuori", ma anche da ciò che ci metto _io_ singolarmente. Si fa -del resto- una cosa analoga nei robot che "apprendono" laddove si consente che un output possa mutare a secondo della storia che sia accaduta. Nel gioco degli scacchi -ad esempio- si dice che se si vince con una certa mossa converrà ripeterla, almeno finché non comincia a verificarsi che si sta memorizzando che si comincia a perdere. La differenza la fa non introdurre dei livelli di soglia nel momento di poter cambiare decisione, ma, bensì, il fatto che -nel caso umano- può avvenire una completa ri-programmazione senza che sia motivato solo da azioni esterne, per esempio per pura meditazione. Si potrebbe affermare: OK, ma se si medita si medita sempre sul reale, quindi è lo status che ha originato la mutazione! Errore, la meditazione non ha come oggetto solo il reale, si pensi -ad esempio- a coloro che trovano una invenzione di un oggetto che ancora -nella realtà- NON esisteva! : - ) Ossia l'uomo è capace dell'eureka! Quella situazione in cui prescinde dalla conoscenza disponibile e aggiunge idee proposte da lui -> per primo! Una situazione -in parte- INCAUSATA. Incausata tanto quanto ci ha messo del suo, oltre che riflettere su ciò che era disponibile. Il piano filosofico è a questo punto non banale: Secondo la scuola di Copenhagen è l'azione caotica sottostante al reale che consente che "affiori" per configurazione spontanea, nel senso di diffusa ed imprevedibile, magari una intelligenza laddove non c'erano ragioni di aspettarsela. Ossia sarebbe il caos il motore che da molteplicità a ciò che ci appare nel reale molteplice e ingiustificato, salvo a trovare le ragioni del perché "è così". Secondo la filosofia determinista, come ad esempio la scuola di Laplace, il famoso matematico, esiste il destino: la realtà è solo un processo ineluttabile, come una sorta di dòmino, in cui le "tessere" non potranno far altro che cadere nella successione con cui sono state incolonnate. Io sono per un terzo filone interpretativo: i) La realtà non è caotica: ci sembra tale perché non ne sappiamo abbastanza per essere predittivi. Del resto -per esempio- il lancio di un dado è ignoto come risultato, sol perché ignoriamo lo stato iniziale e le forze applicate, altrimenti sarebbe un -circa- deterministico problema di balistica. ii) La realtà non è deterministica: ci sembra tale laddove ci sembra di avere raccolto sufficienti dati, magari confermati dalla misura. Ma si noti che l'avanzare della scienza ci ha _sempre_ mostrato la generazione di errori nella misura, quindi non disponiamo di dati completi per dire che siamo in grado di determinare una catena sequenziale(deterministica) in modo certo. Quale sarebbe la verità? : - ) Che non disponiamo -data la nostra ignoranza- di modelli equivalenti al reale, ma solo approssimativi. Possiamo usare modelli stocastici, se non abbiamo di meglio. Possiamo usare modelli deterministici, se non abbiamo di meglio. Ma ciò non ci motiva a "dormire sugli allori", ma ad impegnarci a portare avanti al frontiera della conoscenza, senza ammettere ignoranza. Il trascurare che -> se tracciamo una linea di confine tra il dentro e il fuori -> vi sia anche un dominio che sia a noi -> interno -> è un processo di alienazione, di deresponsabilizzazione. A questo punto non siamo neanche responsabili del nostro pensiero. Vorrei spendere due parole su ciò, grazie alla tua pazienza ed attenzione. Ti vorrei citare un articolo che mi è stato pubblicato sul concetto di alter ego, che spiega bene, secondo me, il fatto che se è vero che dei pensieri possono venirci in mente senza che la spinta -apparentemente- sia nostra, per altro canto una volta che dei pensieri chiedono la nostra attenzione -> noi non siamo obbligati -> a sceglierli come nostri, nel senso di metterli in atto! Una voce -che siamo noi a produrla o siano gli ufo, non fa differenza- ci potrebbe dire (come nel testo di Berne: Ciao .. e poi?) vendi tutte le azioni! .. vendi tutte le azioni! Chi ci obbliga a venderle? il fatto che ci è venuto in mente tale pensiero? Noi dobbiamo saper gestire il "nostro alter ego" senza esserne vittime. Poiché la scelta finale spetta all'"io", e l'io è in grado di darsi un id, un processo di autoconnotazione. Ti aggiungo l'articolo sull'alter ego, spero che ti sia interessante: ++ cit on ++ La questione dell’alter Ego è una questione tuttaltro che banale. Proviamo ad inquadrarla nella teoria classica della Psicologia. La Psicologia e le diverse scuole concordano -a tuttoggi- sul fatto che pensieri nella propria mente possono essere: • Flessibilità mentale: quando il soggetto “si mette nei panni degli altri” e anzi essere un fatto di capacità positiva di stato relazionale. Sono infatti bene intese la ironia e sfumature del linguaggio, contemperando -nel dialogo reale o immaginato- personalità anche diverse dalla propria. • Dissociazione mentale: quando il soggetto “percepisca i dialoghi interni alla sua mente come non generati da una sua propria intenzione”, anche detto il “sentire le voci”. Se non che la linea di confine tra “la prima idea che ci viene in mente” & quale potrebbero essere “le obiezioni che un terzo potrebbe farci” non da tutti è sentita come una produzione della nostra stessa mente. In particolare, caricare un ente terzo della funzione di dialogo, può a volte risultare tanto più esasperatamente necessario .. quanto più ci sentiamo soli e indifesi. Si pensi ad esempio del caso narrato dal film Cast Away con Tom Hanks. La storia racconta che il protagonista naufraga su di un’isola deserta. E’ talmente grande il dolore di non avere nessuno con cui parlare che -trovata una palla di gomma- dipinge su questa palla un volto con il nero fumo e comincia un dialogo. Rischierà persino la vita pur di salvare la palla di nome Wilson. (Il naufrago sapeva che la palla era una palla, ma _decide_ di autoilludersi che sia un soggetto di nome Wilson, per avere qualcuno con cui parlare perché _sente_ che in caso contrario sarebbe impazzito, e nel momento che rischia la vita per salvare Wilson, sta difendendo una sua modalità espressiva che altrimenti sarebbe morta .. secondo lui). Insomma avere un interlocutore, sia che l’indole della persona lo identifichi dentro la propria mente -che fuori- è un fatto che genera un tentativo di equilibrio mentale. Persino lo sdoppiamento in personalità multiple -in questa ottica- non è una semplice difficoltà di identificazione, ma un desiderio di poliedricità che variamente può essere gestita. Come la gestisce un attore? In modo ordinario, anzi ne trae una sorta di effetto terapeutico, spesso sperimentato anche nella psicoterapia. Il problema si pone, come dicevo già dall’incipit della trattazione di questo argomento, quando siamo noi a essere gestiti da questa esigenza, fino a dissociarci nell’idea che non siamo noi l’autore del libro in rappresentazione (si veda: Luigi Pirandello in “Sei Personaggi In Cerca Di Autore”) e -quindi- altri si insinuerebbero nella nostra mente (nei più vari modi per etero dirigerci: demoni, extraterrestri, fenomeni paranormali, etc). Per evitare ciò, le varie scuole degli studiosi della Psiche si dividono: • Secondo alcuni necessita respingere totalmente anche solo l’idea del parlottare con se stessi o anche solo parlare ad alta voce davanti allo specchio, magari la mattina facendosi la barba. • Secondo altri, ed io tra questi, necessita educarsi a tale capacità della propria mente, e anzi non stupirsi della ordinaria capacità della nostra immaginazione nell’aspettarci di cosa ci potrebbe rispondere –per esempio- il capo ufficio “se gli chiedessimo un aumento di stipendio” … Come si è visto nell’esame di un particolare semplice come ad esempio una foglia, se alla difficoltà di –magari- non essere abituati di avere del tempo a disposizione, aggiungiamo la incapacità di una domanda e risposta _con noi stessi_ e pretendiamo di avere sempre risposte tassative -> ciò può creare una causa di stress aggiuntiva. Naturalmente vi è un altro fatto -non banale- da tenere in conto (già affrontato nel § 2.2 “I livelli della mente”) che deve essere considerato concomitante: Il piano puramente ipotetico innescato, o afferenteci, non va inteso a livello attuativo .. perché semplicemente un pensiero ipotetico è stato formulato e sappiamo essere nostro (se stiamo parlando dei pensieri della nostra stessa mente). Necessita quindi distinguere due Macro-livelli del pensiero naturale che possono riassumersi: • Il piano analitico • Il piano sintetico Il piano analitico o anche detto contemplativo è un piano puramente teorico. Il piano sintetico o anche detto attuativo è invece ciò che abbiamo associato alla dignità di esprimere la nostra identità, ciò con cui -e attraverso cui- essere riconosciuti. ++ cit off ++ L: > > Cio' significa che se io progetto un robot per la verniciatura e lo metto > > in una catena di montaggio -a partire dallo stesso stato iniziale- fara' > > identicamente le stesse azioni -> di un altro robot programmato alla > > stessa maniera. "F.M.Arouet" wrote: > Invece il mio pc fa come diverse dal tuo pc anche se fossero lo stesso > identico marca, modello con le stesse identiche componenti. > Due automi identici sottoposti a input diversi vanno a finire in > generale in stati diversi. giusto! > Da uno stato diverso un automa risponde ai medesimi input in maniera > diversa. Cioe' e' in pratica (vistao come una scatola nera > dall'esterno) un'entita' diversa, dato che reagisce in maniera diversa > ai medesimi input. Due entita' senza memoria/stato interno uguali > rimangono per sempre (guasti a parte) identici. Due automi a stati > finiti evolvono. > Non immaginare un automa con 100 stati e 10 input, immagina un automa > con 100.000 elevato a 100.000 stati (numero a caso ovviamente) > bombardato in ogni istante da migliaia o piu' di input. > Pensi davvero che dopo 5 minuti che hai finito di programmarli e li > hai fatti partire i tuoi due automi siano identici? Ovviamente > immagina anche che i tuoi due automi non abbia un pulsante di reset > che li riporta allo stato iniziale... E' la perdita di informazione -se c'è- che ci mostra che -sembra- facciano delle cose diverse. Une macchine progettate con lo stesso diagramma di sequenza, con gli stessi stati, che subiscono gli stessi inputs, fanno le stesse cose. Se -naturalmente- accumulassero un iter differente (diversa memoria di stato) sarebbe giusto che a partire da uno stato apparentemente identico per esempio "NOP" (non operativo) si comportino differentemente. Ti faccio un esempio dettagliato: Carico su un pc detto A con memoria di 2 Gbytes -> 1,5 Gbyte di dati. Carico su un pc detto B con memoria di 2 Gbytes -> 0,5 Gbyte di dati. Entrambe le macchine sono ora a riposo (NOP). Quindi decido di caricare sul pc un programma di 1 Gbytes e la cosa non mi riesce (per mancanza di memoria libera), mentre se provo a caricare sul computer detto B mi riesce! I due computer erano identici, caricati con lo stesso software, come usciti dalla fabbrica. Però "avevano una storia" che diceva che non avevano gli stessi dati "in memoria". Ci si poteva aspettare che si comportassero alla stessa maniera anche se partivano _apparentemente_ da uno stato NOP? Mi sembra chiaro di no! Quando si parla di stato di una macchina, non ci si riferisce solo allo stato _singolo_ in cui si trova. Ci si riferisce a "tutto lo stato della macchina" non solo allo stato da cui si parte. Bene, si potrebbe affermare che ciò è anche quello che succede in una persona! Magari vediamo un tipo calmo e tranquillo seduto al bar .. inavvertitamente gli pistiamo un piede! Siamo sicuri come reagiranno due persone diverse? Dipende non solo dallo stato NOP in cui si trovano -> dipende anche dallo loro storia pregressa? Daccordo? Ora però -a mio avviso- non dipende solo dalla loro storia pregressa! Altrimenti staremmo parlando del modello di automa detto di Moore, un automa che per sapere cosa faccia come output dobbiamo sapere semplicemente in quale stato si trova. Infatti nel modello di Moore, l'output, dipende solo dallo stato precedente all'atto. Negli stessi automi si può però progettare una catena sequenziale detta di Mealy, in cui l'output dipende non solo dallo stato ma anche da quali ingressi sono applicati. http://it.wikipedia.org/wiki/Automa_a_stati_finiti Bene, negli automi più evoluti (nel cicli di apprendimento, nei computers) l'esistere dell'automa modifica persino la mappa degli stati raggiungibili, ossia si possono creare -come nell'esempio del pc, con diversità di memoria, già esaminato- degli stati che non esistevano quando la macchina era stata creata. C'è di più: Se noi volessimo paragonarci alle macchine, le macchine -fin ora- non sono in grado di inventarsi -in corso d'opera- delle nuove regole che mutino il loro agire. Ecco la differenza -> e non mi sembra una differenza da poco. L: > > 1) La prima modalità è di verificare ogni possibile input, anche non si > > fosse ancora verificato (a livello quindi di progetto) per imporre alla > > macchina cosa dovrà fare, senza lasciare alcun caso imprevisto. > > > > 2) Il secondo caso è prevedere ciò che riteniamo necessario e lasciare > > un altro insieme di casi -> magari associato a una sorgente aleatoria di > > scelta. "F.M.Arouet" wrote: > Esiste anche altro. > Una rete neurale ad esempio saprai bene che puo' essere addestrata > attraverso la somministrazione di esempi e varie tecniche. All'interno > della rete neurale (che potrebbe essere descritta come un'automa a > stati finiti, anche se e' piu' razionale descriverla in altro modo, ma > se i pesi delle varie connessione sono ad esempio numeri a 32 bit, fai > il prodotto fra i vari 2 elevato a 32 di ogni connessione e trovi un > numero di stati molto elevato ma comunque finito) si forma un certo > stato. > Se tu ignori lo stato (perche' non hai modo di andare a leggere i pesi > che si sono determinati fra le varie connessioni e non conosci di > preciso a quali esempi di apprendimento e' stata sottoposta) non puoi > prevedere come la rete reagira' al prossimo input. Hai detto bene: "se tu ignori lo stato". > E stiamo sempre parlando di ordini di complessita' infinitamente > inferiori all'automa a stato finito uomo, e non abbiamo introdotto > nulla di aleatorio. Fabio, non è che non ci siano delle persone che credono nel "destino", o che la loro vita dipende dalle grazie dei santi e da tutti -> ma non da se stessi! Le stesse persone, prendi ad esempio Einstein, che dicono di credere in qualche forma di intelligenza superiore (intelligent design), non è che necessariamente perché credono che "là fuori, anzi in ogni dove" -> vi sia intelligenza -> affermano che l'intelligenza vi sia dappertutto -> fuorché nel loro cranio .. : - ) Quindi a livello di scelte "esistenziali" io rispetto le idee di chiunque. La questione è se -alla luce della ragione" possiamo dire che il nostro fare sia un fare "ineluttabile", "inconsulto", "deresponsabilizzato", perché potremmo essere delle macchine complesse, di una tale complessità che "ci sembra di essere liberi" -> ma -invece- non lo siamo, neanche un po'. Ora a livello di psicologia personale e persino di sociologia tu sai bene cosa può portare a dire a qualcuno che può sparare -per esempio- perché lo fa per il bene della patria -> può -> potenzialmente -> creare degli "irresponsabili", delle persone mentalmente inaffidabili, dei disadattati mentali. A me pare che tu sia una persona troppo intelligente per correre anche solo il rischio che un ragazzo -magari leggendoci- possa pensare che lui -per esempio in un gruppo- è meno responsabile di ciò che fa. La legge italiana, guarda caso, dice la responsabilità -> è personale. Se per esempio ci fosse una associazione a delinquere non è che diminuisce la responsabilità personale, ma si aggrava. L: > > Il problema e' che un progettista si deve prendere delle responsabilita'. "F.M.Arouet" wrote: > E infatti non credi che i genitori, la scuola, la societa' (che non > sono i progettisti, ma sono i principali produttori di input e quindi > sono fondamentali per la transizione fra i vari stati interni > dell'automa, il progettista non c'e') abbiano delle responsabilita' > nella formazione di un uomo? Condivido il fatto che si può deformare la formazione equilibrata di una persona adolescente. Tale deformazione è però non al 100%. Si può conoscere dei criminali e non piegarsi al crimine, ad esempio. Ne sono testimonianze le vite di coloro -come Gandhi- http://it.wikipedia.org/wiki/Mahatma_Gandhi che rispondevano alla violenza senza violenza. Il nostro agire non è un riflesso condizionato. Può essere un riflesso condizionato tanto quanto noi non sviluppiamo un apparato elaborativo e coscienziale. Anche nei gradi delle specie viventi: Una pietra sarà molto più condizionabile di una pianta Una pianta sarà molto più condizionabile di un cane Un cane sarà molto più condizionabile di un contadino Un contadino sarà molto più condizionabile di un filosofo Un filosofo sarà molto più condizionabile di un mistico Un mistico sarà molto più condizionabile di "tutto ciò che è" poiché non vi è nulla all'esterno di "tutto ciò che è" -> e quindi "tutto ciò che" è non è condizionabile! : - ) L: > > Se un robot sentinella sparasse quando gli pare (sono allo studio dei > > robot sentinella per il pattugliamento delle frontiere), chi credi che > > andrebbero ad arrestare? .. il libero arbitrio del robot? .. o la > > capacita' di intendere e di volere di chi l'ha disegnato? "F.M.Arouet" wrote: > Credo che innanzitutto il robot verrebbe bloccato perche' smetta di > sparare a casaccio. > Poi si cercherebbe di ripararlo (se possibile). > E si cercherebbero le ragione del malfuzionamento (sia per ripararlo > sia per evitare che altri automi simili abbia malfunzionamenti > analoghi). > E' poi cosi' assurdo agire nel medesimo modo nei confronti dell'automa > a stati finiti uomo? Ho provato prima a spiegarti come la vedo io L: > > > > Quindi il concetto di liberta' si basa su quello di responsabilita'. "F.M.Arouet" wrote: > Il fatto che il robot non sia responsabile significa che lo lasciamo > sparare a casaccio senza muovere un dito? > Lo fermiamo lo stesso (un uomo no?), cerchiamo di ripararlo lo stesso > (un uomo no?), cerchiamo di capire le cause del malfunzionamento (un > uomo no?). Lo progettiamo perché non spari secondo regole che siano arbitrarie. Mettiamo dei meccanismi di sicurezza nel caso di guasto. L > > Come si vede si deve agire in scienza e coscienza. > > > > Altrimenti non siamo più in una società -> ma in un incubo, "F.M.Arouet" wrote: > Adesso tu stai dicendo: "non dobbiamo dire di essere automi", non "non > siamo automi". > Sono due questioni diverse. > > Ciao.Fabio. Come diceva un tale "e a ciò a cui avrai dato un nome -> sarà il suo nome". Vediamo l'etimo di automa: http://www.etimo.it/ dal greco autò-matos "che agisce da se (auto)" Macchina che per nascosti congegni si muove, onde _sembra_ muoversi da sé. Commento: Né gli automi, né gli umani, né "ogni cosa che è" esistono se non sono in relazione, altrimenti sarebbero inosservabili. La semplificazione del concetto di "porta automatica" che basta che passi e _automaticamente_ si apre è mal posta persino per una porta. Serve -infatti- che qualcuno/qualcosa passi, che qualcuno/qualcosa sposti un atto dallo spazio dell'esistibile -> a quello dell'essere. E anche di ogni pensiero siamo responsabili nel condurlo nell'essere. Saluti, L