Subject: La mia storia [lunghetto] Date: Fri, 18 Jul 2008 14:26:59 +0200 From: Snape Organization: TIN.IT (http://www.tin.it) Newsgroups: it.discussioni.psicologia Avrei voglia di raccontarvi tutto della ma vita, di entrare nei più piccoli dettagli(ma già l'ho fatto con la psicoterapia e non è servito a granché), di sfogarmi, ma so perfettamente che questo che non basterebbe un libro, e allora cerco di sintetizzarvi la mia vita quanto più possibile, spero abbiate la pazienza di leggermi) Situazione familiare : Sono figlio unico fino all'età di 5 anni, poi nasce mia sorella, seguita a ruota da mio fratello, il risultato: continuare a sentirsi figlio unico(interessi diversi, amici diversi e giochi diversi, più il peso verso i genitori di essere "quello molto più grande"). Mio padre ha avuto una figlia avuta prima di sposare mia madre (ma quando già erano fidanzati: tradimento con prova). Dopo essere stati sul punto di lasciarsi alla fine sembra che mia madre l'abbia perdonato e quindi sposato (altrimenti non sarei qua a scrivervi mi sa...). L' accettazione di quella bambina(di 5-6 anni più grande di me) è stata solo apparente: mia madre la odiava a morte, ricordandole il tradimento. Ricordo atmosfere da inferno(e che non capivo) fin dalla prima infanzia (litigi continui che mi mettevano un' ansia tremenda addosso), e credo di essermi istintivamente schierato dalla parte di mia madre fin da sempre. Il carattere dei miei genitori: debole lei, autoritario e superficiale lui. Passiamo a me: Cresco come un bambino vivace in alcuni contesti e chiuso in altri(questo continuerà a valere fino al momento X che racconto più in basso: estroverso in alcuni contesti sociali, impacciato e timido in altri), particolarmente sensibile e riflessivo. Aggiungo che mi sono sempre sentito diverso dal "branco dei compagni"(a 10/11 anni preferivo di gran lunga divertirmi a scrivere codice in basic col mio Commodore 64 piuttosto che andare a caccia di lucertole come facevano gli amici), sia come interessi che mentalmente. Questa cosa probabilmente ha iniziato a far nascere una scarsa autostima(mi dicevo: "l'atteggiamento normale è quella degli altri, non il mio") Crescendo sono cambiati gli interessi ma non la sostanza: quando mi chiamava un amico per "uscire in piazza" io pensavo: "cavolo staserà voglio guardarmi quel film, chiaramente non sono normale, dovrei preferire di uscire e trovarmi una ragazza alla mia età". Facciamo un salto, e arriviamo al quinto anno delle superiori, ossia al momento X, dove c'è la rottura che molto probabilmente mi ha portato ad essere quel fallito che sono oggi. Ad un humus già fragile di insicurezze(legate ad una sensibilità particolare oltre che ad un ambiente familiare tenuto insieme con lo scotch) succede che vengo presa di mira pesantemente dai 3 o 4 bulli della classe. Inoltre, quelli che in classe consideravo amici mi iniziano ad isolare, e dopo qualche settimana sembra che sia io contro tutti. Mi umiliano, mi sovrastano(inutile scendere nei dettagli) e mi sento colpito nella dignità di essere umano. Dopo resistenze iniziali(ma senza mai chiedere aiuto) e tentativi di reazione(ma è dura quando sei tu contro tutti) divento apatico, subisco le angherie passivamente, più di una volta sono sul punto di avvicinarmi alla finestra dell'aula e di buttarmi giù dalla finestra. Inizio a cercare mille scuse per restare a casa, faccio un sacco di assenze per evitare quella tortura. Finalmente finisce l'anno. Stranamente non mi bocciano(forse perché sospettavano qualcosa, o forse per l'opinione buona che avevano di me dagli anni precedenti), ma non vado al di la di un 70/100. Non ho mai avuto il coraggio di parlarne né coi professore né con i genitori(che ancora non sanno niente), e ho provato a mettermi questa cosa alle spalle. Avevo ancora voglia di combattere comunque: mi iscrivo ad ingegneria informatica. All'inizio è dura, poi trovo altri studenti con cui mi trovo bene e inizio a fare i primi esami. Ma il mio stress non era solo legato allo studio e non lo sapevo ancora. Non riuscivo ad approfondire nessun nuovo rapporto d'amicizia: conoscere una persona era facile, ma quando l'amicizia si faceva più stretta mi tiravo indietro per la paura che la mia insicurezza saltasse fuori. La notte avevo sempre i soliti incubi: rivivevo l'ultimo anno mentre venivo sbeffeggiato da tutti, e mi svegliavo distrutto, provando un misto di pena, rabbia e sollievo per il fatto che era solo un sogno) Con le ragazze che mi piacevano non ci provavo, e anzi, se notavo un interesse, mi facevo indietro spaventato, questa cosa non ha fatto altro che aumentare la mia depressione(ma si poteva già parlare di depressione in senso patologico allora? non lo so..) L'autostima si abbassa sempre più e abbandono i pochi amici che avevo dicendo loro, ogni volta che mi cercavano, che lo studio non mi permetteva di uscire. I 3-4 amici che avevo all'università intanto, per un motivo o per un altro se ne vanno(chi si trasferisce, chi abbandona, chi cambia facoltà), ed io piano piano inizio ad isolarmi, a non andare più a lezione, a restare a casa sempre per più tempo, a perdere stimoli non nello studio in particolare, ma nella vita in generale. Credo che se in questa fase i mie genitori avessero avuto il coraggio di mettersi in contatto con uno psicologo ne sarei uscito, purtroppo cosi non è stato. Poi sono cominciati i litigi con mio padre(legati al fatto che non volessi uscire più, studiare o lavorare), che poi è diventata indifferenza. Iniziai ad isolarmi anche all'interno della famiglia stessa, mangiavo dopo o prima che l'avevano fatto gli altri e mi rinchiudevo nella mia stanza(per rabbia e per non litigare all'inizio, poi è diventata un' abitudine/schiavitù, forse perché mi sentivo al sicuro a stare da solo) Passavano i mesi, all'università non ci andavo più ormai, stavo chiuso in casa(ma sarebbe più corretto dire che passo il 90% del tempo nella mia stanza) dalla mattina alla sera, passando dal pc alla radio alla tv, facendo ogni tanto delle escursioni in bagno e in cucina. Quando arrivavano parenti o amici(o chiunque che volesse vedermi) mi chiudevo a chiave dicendo a mia madre di dire che non c' ero. Dopo un anno circa di isolamento totale i miei genitori mi fanno arrivare una psicologa nella mia stanza, accetto di fare psicoterapia, ed esco di casa solo per questo motivo. Dopo un periodo di qualche mese in cui notai miglioramenti, si arrivò ad un punto morto: ero senza dubbio più sereno, avevo recuperato un pochino la mia autostima, ma comunque non uscivo, e dopo almeno 10 mesi di psicoterapia(precisazione: la psicologa era Rogersiana) pensando di far sprecare soldi inutilmente alla mia famiglia, non ci vado più. La storia finisce qui, perché da quando ho lasciato l'università a 22 anni, sarò uscito di casa(escludendo le sedute terapeutiche) non più di 5 volte. Adesso ho 27 anni, da qualche settimana mi segue il mio medico di famiglia, venendo a casa mia ogni venerdì, prendo 30 mg al giorno di compresse di Sereupin, si dispera e prova in tutti i modi a farmi uscire di casa, ma io non ci riesco più, mi fa paura la società, mi fanno paura le persone, mi fa paura il mondo esterno. Inutile aggiungere tutti i pensieri suicidi che ho avuto. Episodio recente: Pochi giorni fa è morta mia nonna, è stata in ospedale per qualche settimana. Qualche giorno prima che si sentisse male telefonò a casa chiedendo di me e mia madre, dopo aver provato a convincermi di parlare con lei, le ha detto che non c'ero (ormai è abituata ad inventarsi mille scuse per giustificare la mia sparizione) E' morta senza vedere e sentire suo nipote da più di quattro anni, lei non poteva venire a casa mia vista l'età e non ha mai conosciuto la gravità della mia situazione: probabilmente pensava semplicemente che non mi importasse niente più dei nonni. Al suo funerale ovviamente non ci sono andato, i parenti che già sospettano qualche cosa, chissà cosa penseranno di me. Ora mi sento come in una stanza buia con due porte: una porta conduce al suicidio, l' altra al mondo reale, io non ho ancora scelto, sono ancora in quella stanza buia, ma non posso restarci a lungo, i miei genitori invecchiano e io devo prendere una di quelle porte. Scusate il post chilometrico, forse nessuno avrà resistito fino a questa riga, ma io dovevo scrivere, ne avevo bisogno, oggi è venerdì, sono in attesa di deludere il mio medico di nuovo. Ciao a tutti.