Subject: Epimenide e i suoi nipotini Date: Wed, 18 Jun 2008 19:34:33 +0200 From: "qf" Organization: ComputerVille Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato Contrariamente all'usuale definizione di "indecidibile" data alle proposizioni del tipo "Io sono bugiardo" -- che sono poi le proposizioni cui dedica tanta cura formale lo stesso Goedel, -- forse qui si sa già che io considero invece tali proposizioni come insensate. La ragione è molto semplice: nella medesima proposizione il medesimo ente ('io' nel caso esemplare qui sopra) compare come soggetto giudicante e come oggetto giudicato, e questo fatto, appunto, rende priva di ogni senso la proposizione. Non "contraddittoria", intendiamoci, ma totalmente priva di senso anche se in apparenza dotata di qualche significato (è il significato a essere indecidibile, ma solo una volta che si è riconosciuto un senso alla questione della assurda "bidimensionalità" soggetto-oggetto di quel tale, cioè mai). Naturalmente questo errore logico, che potrebbe essere detto 'errore di autoreferenzialità' c'è anche se _non_ vi è all'interno della proposizione un attributo come 'bugiardo'. E' errore anche se si dice "Io sono onesto", per la medesima ragione di insensato sdoppiamento in giudice e giudicato da parte del parlante. Obiettare che in questo modo uno non dovrebbe dire nulla di se stesso per non commettere questo errore, è un'inutile estremizzazione. Infatti le informazioni su di sé possono essere raccolte da una molteplicità di osservatori, possibilmente neutrali. In tal caso, dato che le informazioni non provengono dallo specchio, possono anche essere considerate attendibili. Infatti in tal caso non si tratta di auto-referenzialità (e in tal caso non si dice "io sono bugiardo", ma si dice o si dovrebbe dire "gli altri affermano [autorevolmente o comunque credibilmente] che io sono bugiardo", e ci si può anche credere se si vuole). Ora, queste considerazioni -- sull'insensato modo epimenideo di emettere sentenze autoreferenziali -- necessariamente si applicano a tutto ciò che ha a che vedere con ciò che è un vissuto e che quindi non può essere in alcun modo raccolto e testimoniato da una molteplicità di osservatori neutrali; ossia si applicano a quelle opinioni espresse su di sé sulla base di considerazioni cui si attribuisce oggettività in modo del tutto arbitrario. I casi sono molti, e qui su questi schermi se ne vedono parecchi, ma mi riferisco ora in particolare a chi dice dice cose del tipo "le mie mani fanno questo, quindi non sono io a fare questo", che è affermazione palesemente comica mentre è di uso quasi corrente anche in un certo ambiente che si autodefinisce "scientifico". Su proposizioni di questo tipo si scherzava al liceo quando un prof di filosofia ci parlava di libero arbitrio e sosteneva -- da materialista conclamato -- che il libero arbitrio non esisteva. Forte di questa affermazione, nell'intervallo un caro amico (ora primario in un ospedale di Como) prendeva a calci in culo noialtri e diceva: "non sono stato io, ma il mio piede; io sono una macchina e di ciò che faccio non ho alcuna responsabilità." Fu così che, essendo stato il suo piede e non lui a prenderci a calci in culo, fu il suo piede a essere preso di mira da noi per le necessarie ritorsioni, naturalmente con la raccomandazione all'amico di non lamentarsi, dato che era col piede e non con lui che noi ce l'avevamo. Insomma, come si dice: "niente di personale" :-) Appunto -- e anche a parte l'ulteriore comica di pretendere di far coincidere il libero arbitrio con l'onnipotenza (avere le gambe e quindi essere liberi di camminare è forse onnipotenza? ma all'assurdo non c'è limite, evidentemente), -- ho già fatto osservare, su questo schermo, che un epigono del mio prof di filosofia affermava : «sono determinato dal mio vissuto, dal mio genoma e dall'interazione col mondo presente, come tutti» mio... mio... mia interazione. Tutto mio, ma non sono io, come il piede del mio compagno di liceo. Cioè affermo che tutto ciò che ***mi*** determina è ***mio***, e dunque definisce proprio l'*io* (o meglio il *sé* per non introdurre variabili che rischiano di far raccontare altri paradossi psicologici ai nipotini di Epimenide), e perciò dice che a decidere tutto ciò che mi riguarda è la sintesi delle cose che definiscono proprio e solo ciò che io sono. Ma, al momento di trarre la conclusione lapalissiana di questo fatto, ossia la conclusione che a decidere sono proprio ***io***, ecco che con un triplo salto mortale carpiato si afferma il contrario e si dice: siccome è il mio... e il mio... e la mia..., allora _non_ sono io, e quindi di ciò che faccio non sono responsabile (= libero). Dopodiché, naturalmente, non c'è scampo: altro che Berlusca! Tutto il codice penale viene invalidato, perché non si può più parlare di delitti , ma solo di eventi determinati da qualcosa che è "suo" di chi eventualmente ha ucciso... ma non è lui. Se si voleva un indulto in grande stile, ecco nell'assenza di "libero arbitrio" le motivazioni "oggettive" ossia "scientifiche" per proclamarlo, da Norimberga a Ground-Zero. E ovviamente i santi Inquisitori non hanno mai fatto niente, neanche l'evasione dell'Ici :-) A sostegno di tale "oggettività" della totale assenza di responsabilità, è comparsa sui due gruppi di filosofia un'intervista autorevolissima di un grosso personaggio senza il quale ci saremmo sentiti non solo orfani, ma persino liberi di fare quello che ci pare al sabato sera. Costui infatti ci dice che non è vero che siamo liberi al sabato sera, e infatti snocciola una serie di "nostro...", "nostro..." per poi concludere anche lui sistematicamente, con il medesimo triplo salto mortale carpiato (e con microfono dell'intervistatrice fra i denti), che però non siamo "noi". Riporto un paio di punti splendenti di tale illuminante intervista: «Tutto quel che pensiamo è il risultato di processi che vengono condizionati da moltissimi fattori: ormoni, neurotrasmettitori, connessioni sinaptiche per citarne solo alcuni, e proprio questi fattori determinano il comportamento di una persona» Il grande scienziato omette, abilmente (?), di dire che ormoni, neurotrasmettitori e quant'altro, definiscono niente di meno che *quella* persona, non qualcos'altro, a meno di non pensare che una cosa sia la persona e un'altra gli ormoni eccetera. Che è un'idea totalmente insensata. Insomma costui scopre (genio indiscusso) che una persona è sede di molti e complessi processi biologici, ma omette di dire che tali processi integralmente unitari definiscono proprio la persona stessa e non qualcos'altro, ma -- triplo salto mortale carpiato e avvitato con panciata finale -- il comportamento della persona non è responsabilità della persona ma è responsabilità di quei processi. Processi evidentemente alieni secondo questo genio straordinario dal nome di Wolf Singer. Un vero lupo, ma evidentemente non della logica (magari è un lupo della canzone). «È ovvio che un minimo mutamento della composizione delle sostanze nel cervello, indotto da uno stress o da uno squilibrio ormonale, possa spingere l'individuo, in modo inconsapevole, ad adottare l'una oppure l'altra decisione.» Inevitabile il medesimo commento a questa geniale deduzione (a parte che poteva nominare anche la grappa e la gnocca, oltre allo stress e allo squilibrio ormonale, ma il lupo canterino deve essere di cultura puritana). Non ci sarebbe, per lui, l'individuo stressato in quanto individuo, né l'individuo ormonalmente in squilibrio in quanto individuo, ma sarebbe l'individuo a "essere spinto" come se a spingerlo fossero entità (stress ecc.) che appunto non sarebbero l'individuo. Ma allora, _chi_ spinge _chi_ in tale circostanza? I processi spingono l'individuo, ma i processi sono o no dell'individuo? E, se lo sono, allora i processi spingono i processi !? Ahem... qui qualcosa non torna signor lupetto nipotino di Epimenide: si è innescata una ricorsione infinita mentre il senso è clamorosamente latitante. Ed è inutile andare avanti con l'intervista perché il nostro lupo canterino ripete la medesima canzone per tutta l'intervista. E del resto sarebbe ancor più comico il contrario, cioè che costui dicesse, alla fine, che sta raccontando delle assurdità solo per stupire, per provocare, per mettersi in vetrina. Però no, il lupo cantatore non è immediatamente ingenuo come sembra. Egli parte infatti, come del resto molti "scienziati", dall'idea -- malissimamente interpretata dal retaggio cartesiano -- della macchina biologica e del cervello come sotto(o sovra)-macchina della macchina biologica. Ora, a qualcuno sembra che, se si interpreta la persona come macchina biologica, allora sarebbe necessario negare che come persona possa mai decidere qualcosa. Ma costui incorre appunto nell'assurdo dell'affermazione secondo cui a decidere sarebbero ***i miei*** processi e quindi non sono "io" -- "io" che però altro non sono, proprio in quell'accezione, che l'insieme integrale (e unitario!) dei miei processi. Insomma il nipotino di Epimenide continua ad affermare "ciò che costituisce integralmente ciò che io sono, non è ciò che io sono", e, come conseguenza "io sono vittima di ciò di cui _io_ sono costituito, ma che non è ciò che io sono". Difficile formulare proposizioni più insensate. Epimenide avrebbe tutto da imparare dai suoi nipotini lupetti nonché canterini. Stupefacente dunque non vedere che, anche partendo da quell'assunto arbitrario -- ingiustificato dalla biologia (che non è né meccanica né elettronica né informatica né niente di simile) -- la conclusione è priva di senso, cioè assai meno che paradossale. Allora l'ingenuità (per chiamarla così) si è solo spostata di livello ma non è sparita. Il che fa sospettare che il nostro lupo abbia dei problemi logici seri. Ma lui è padrone di credere, naturalmente, che non è colpa sua ma del suo cervello (stress da intervista?) I fatti sono molto semplici: come già ho detto in altra occasione, la nostra dotazione linguistica per esempio -- straordinaria potenzialità -- rappresenta la nostra libertà di comunicazione nel momento in cui si esprime come lingua e come linguaggio in un certo contesto: infatti consente di comunicare con chiunque. La sostanziale benché relativa onnipotenzialità linguistica non sarebbe libertà se non si esprimesse in una lingua e in un linguaggio. Parimenti la nostra potenzialità di deambulazione diventa libertà quando si esprime come capacità concreta di camminare, che ci consente di andare dove ci pare; poi possiamo essere nati in montagna o al mare, e allora cammineremo in modo diverso, ma l'aver messo in opera la potenzialità deambulatoria ci ha resi liberi nella sfera del movimento. I lupi cantatori, che spesso sono abili nel free climbing sugli specchi, a questo punto affermano perentoriamente che delle nostre potenzialità (linguistiche, deambulatorie, scopatorie e quant'altro) noi non siamo responsabili perché *noi* siamo nati come siamo non certo per *nostra* decisione. Alla fine dell'analisi di questa arguta uscita si vedrà che essa è drammaticamente superficiale e soprattutto affetta dalla medesima insensatezza di cui sopra. Ma procediamo con ordine. Intanto a questa stregua, risalendo lungo la catena delle discendenze, nessuno sarebbe responsabile di niente. Insomma sarebbe colpa di Dio (scusino gli atei la mancanza di tatto nel nominarlo) o del Caso (scusino i logici la mancanza di senso del nominarlo). Insomma, pur presa per buona l'evoluzione, dentro di essa non ci sarebbe nessuno a fare niente; gli individui non deciderebbero, ma deciderebbero le loro cistifellee e i loro cervelli (che sono cose "loro", ma "loro" sono solo burattini in mano alla loro cistifellea e al loro cervello, e persino, in un circolo vizioso, magari soffrono per esserne burattini, ma tanto non è vero che sono "loro" a soffrire: è la loro cistifellea o il loro cervello a soffrire, con evidenza assolutamente "scientifica".) La realtà non è così comicamente insensata, per fortuna. Se ci sono delle dotazioni, allora esse sono qui e adesso le fondazioni stesse della libertà dell'individuo nel suo contesto. E così è stato per suo nonno e per il nonno di suo nonno, su su fino al protozoo e al protofito. Ammessa l'evoluzione, in essa il vivente (tutti e ciascuno) ha lavorato proprio a costruire queste potenzialità sempre più generali e articolate, che conferiscono quindi sempre maggiore libertà agli individui nel loro contesto (per esempio, le altre specie hanno limiti climatici alla scelta dell'habitat: l'uomo può vivere al polo e anche nel deserto, e persino sulla Luna; ma questo è solo un esempio). In altre parole il substrato dell'individuo -- che lo pone al di sopra della propria specificità proprio come individuo -- è il patrimonio della specie, che egli contribuirà, seppure in minima misura, a migliorare durante la propria vita e con la propria esperienza. In altre parole ancora: egli ***è*** il patrimonio della specie, e in questo senso egli è pienamente responsabile di tale patrimonio, cioè è ***egli stesso*** ad aver costruito nelle ere ciò che è ora. Infatti egli ***è*** le medesime dotazioni che suo nonno e il nonno di suo nonno ***erano***, e cioè è evidente che, per quel rispetto, non vi è distinzione o discontinuità fra lui e tutti gli ancestor che ***erano*** le medesime dotazione che egli ***è***. Se uno non è consapevole di tale illimitata estensione dell'*io* e dell'implicita responsabilità, allora non ha che da svegliarsi e rendersi conto del valore delle proprie dotazioni proprio in termini di libertà, ma anche dell'immane fatica che ***egli*** -- in quanto umanità -- ha fatto per costruirsi così com'è. Di tale fatica, infatti, egli porta i vantaggi ma anche i segni di sofferenza, e anche gli errori ancora irrisolti che il suo stesso evolvere lo ha portato ad affrontare (e che egli contribuirà a risolvere). E quelli che egli chiama "istinti" (tanto per ingenuamente rivendicare la propria irresponsabilità), sono in realtà potenzialità che *egli* in quanto umanità hacoltivato per ere intere. Solo dunque il suo meschino considerarsi chiuso nell'orticello di una superficie che egli chiama "io" -- vista unicamente allo specchio attuale senza guardare alla sua memoria profonda (di cui la scienza è o dovrebbe essere strumento) -- lo porta a definirsi non-libero. E questo talvolta ai lupi accade, specie se canterini: cadono cioè nella tagliola del paradosso che hanno montato da sé. E' dunque è assurdo affermare che l'individuo non è libero perché ha un'eredità genetica. Al contrario, è libero proprio grazie a tale eredità, e nella stessa misura in cui tale eredità è complessa e articolata. Lo si vede immediatamente osservando i comportamenti degli individui delle diverse specie, dai più semplici ai più complessi: la loro libertà è direttamente proporzionale alla loro complessità. L'evoluzione, in sostanza, è proprio una continua realizzazione della libertà attraverso l'attivazione progressiva di sempre più complesse potenzialità di vissuto (pensiero) e di interazione (azione). Libertà di interazione, ovviamente, cioè di contrattazione, non onnipotenza. Ma i lupi canterini confondono sempre le due cose mentre si costruiscono da sé le tagliole in cui inciampano. Saluti qf