Subject: Re: Epimenide e i suoi nipotini Date: Fri, 20 Jun 2008 16:12:37 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato "Marco V." wrote: > > "L" ha scritto nel messaggio > > > Il reale non è mai equivocabile nella logica formale. > > Se non lo è, è perché la logica formale è quella dimensione - resa possibile > dalla introduzione della pratica di scrittura alfabetica - che emerge quando > il reale è voluto come il segno grafico, nella fissità infinitamente > riproducibile del suo aspetto fenomenico-sensibile. Ma allora questa > inequivocabilità poggia su un presupposto gnoseologico. > > Non è un caso, allora, che nel greco filosofico la parola _stoicheion_ > indichi sia l'elemento fondamentale della realtà (il "mattone") sia le > lettere dell'alfabeto (che sono quegli elementi della voce i quali, in > quanto risultato di una analisi del continuum della voce, emergono *insieme* > alla pratica alfabetica, e non sono affatto ciò che preesisteva a > quest'ultima). E nemmeno è un caso che l'introduzione, negli "Analitici", > delle lettere dell'alfabeto come variabili linguistiche, faccia di > Aristotele il fondatore della essenza della logica formale. Le ragioni di > questo fondarsi della essenza della logica formale sulla pratica scritturale > sono due: > 1. la fissità dell'aspetto fenomenico-sensibile implica la fissità del segno > come entità logico-formale, e dunque la sua inequivocabilità assieme a > quella delle sue combinazioni. (ma allora c'è di mezzo un presupposto > gnoseologico). > 2. la lettera, come entità logico-formale, può stare per qualunque termine. > Questa sostituibilità garantisce la prerogativa dell'universalità, come > indipendenza della validità di un ragionamento dal significato (ma allora > occorrerà aver presupposto la distinzione tra i termini logici, quali i > quantificatori, la copula etc. ed i termini non-logici; ma allora occorrerà > mantenere ferma la connessione semantica tra i segni dei termini logici ed > il loro *significato*). > > > E' equivocabile solo per gli umani, poiché il set delle regole non è un > > insieme limitato, quindi bisogna decidersi: > > "Umano", qui, non è altro che la dimensione del senso, al quale 'umano', > nonché 'equivocabile', appartiene di diritto. > > Un saluto, > > Marco Tutte riflessioni molto interessanti, e non sto scherzando. La questio, però, secondo me, è perché darsi/dare delle regole. Le regole non sono una limitazione all'agire? Evidentemente vogliamo garantire che un processo sia governabile tramite delle regole, quindi possa -per esempio- essere ripetibile. A cosa ci serve la ripetibilità? .. alla noia? : - ) Ci serve affinché delle cose noiose le possano fare le macchine, che osservano le regole senza protestare (le macchine non si annoiano). Quando invece l'insieme dei vincoli alla ripetibilità vengono tolti, ossia ci spostiamo verso la soggettività, verso il LA degli umani, anche se fosse un problema di matematica non avremmo la stessa descrizione del fenomeno che stiamo osservando. L'occhio sarebbe magari lo stesso, ma non i fatti e chi li conduce, nel caso degli umani. Infatti nel caso degli umani le regole sono -per esempio- le leggi. Ma gli uomini osservano sempre le leggi? Le macchine lo fanno, anche quando si guastano, poiché osservano "l'azione (la legge) del guasto. Quindi gli umani non sempre osservano le leggi. Da cosa dipende che non rispettano le leggi, anche -a volte- le cose che loro stessi decidono di fare? Ma dal fatto che l'insieme delle regole che osservano non è un insieme che è "fisso", ma dinamico, che loro stessi non conoscono quale sarà nel futuro, magari neanche quale è stato nel passato e/o nel presente. Non vi è mai capitato di sentir dire: "Ma non so perché poi ti ho baciato, in quel momento forse ti amavo, è stato più forte di me .." Quasi che il nostro stesso fare non fosse sotto la nostra cibernao (l'arte di guidare la nave che è la nostra mente). Dunque l'uomo è in grado di una capacità di astrazione che è ignota potenzialmente persino a se stessi. Solo così -infatti- si spiega la capacità di proporre soluzioni innovative e migliorative -> a problemi vecchi. In questo il linguaggio, naturalmente, è un aiuto. Ma non si trascuri che il linguaggio umano è -funzionalisticamente e in modo corretto- in continua mutazione, quindi non ambisce alla ripetibilità e fissatività del segno! Anzi la fissatività espressiva -nel caso umano- è un handycap. Si parla -infatti- per esempio di "stati maniacali fissativi" o di sindrome di Tourette o di psicosi di stati di persecuzione ricorrenti -> proprio quando manca una delle caratteristiche base dell'equilibrio umano: la flessibilità mentale (o anche detta dai clinici: meta-rappresentazione, o capacità di essere informali, di generare nuove forme). Irreggimentare la flessibilità mentale in schemi di modello -inoltre- mi fa ricordare il mio esame di controlli II (il max dell'astrazione matematica applicata al tentativo di descrivere i processi fisici come modellicizzabili, ad esempio le dinamiche del plasma, ossia della compressione dell'idrogeno per tentare la fusione calda). Quindi la logica, secondo me, non è quella cosa gestita dalle macchine. E' gestita dalle macchine quando pretende una logica formale, ossia che rispetti delle regole, delle forme pre-costituite. Nel caso umano non è mai formalizzabile in forma chiusa in modo esatto, anche se ripetesse gli stessi assunti. Non è formalizzabile perché -> è l'uomo , con il suo stesso esistere, che ne rende impossibile l'implementazione in forma chiusa. Ergo la pretesa che possa avvenire (il rispetto di una logica in forma chiusa, anziché semplicemente di una "logica" di cui cercare le ragioni che fissano i principi di produttoria, ossia di legame di causa ed effetto) nel caso umano è una forma di autorassicurazione. Spesso paura di essere liberi, che il LA esista davvero. Ma non ci dovrebbe essere nessuna paura di cantare -per esempio- una canzone -> interpretandola .. perché parlerà di noi! : - ) Saluti, L