Subject: Re: Dfinizione del filosofo Date: Tue, 01 Apr 2008 13:30:59 GMT From: "Davide Pioggia" Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato Marco ha scritto: > Ma intanto: se prima sappiamo (e pensiamo) e poi piangiamo, allora il > pensiero *può* sempre dire che la morte che piangiamo è l'impossibile non > esser più di un essente. Ciò non priverà certo le lacrime della loro > realtà, ma avrà l'effetto di un enorme ampliamento della giurisdizione del > pensiero, perché anche le lacrime saranno connesse ad un "contenuto" (ed > il pensiero ha giurisdizione proprio sui "contenuti", che altro non sono > che i "pensati") Sì, questa è la tua strategia esistenziale. E tutte le domande che mi poni (quelle che mi poni in questo tuo post e quelle che mi hai sempre posto) alla fine sono un unico problema di teoria dei giochi, dove il gioco in questione è ovviamente l'esistenza. Il problema che tu mi poni da sempre alla fin fine si riduce ad una domanda come questa: «Che farai tu, Davide, quando ti diranno che hai un tumore e che ti restano solo pochi mesi di vita? Pensi forse di potertene fare una ragione (ecco, appunto) ripetendoti come un mantra la filastrocca degli acidi nucleici instabili? O farai forse come il grande fisico Percy Bridgman, il duro e puro delle definizioni operative, che tu tanto ammiri, il quale - quando gli dissero che aveva un tumore inoperabile - si piantò una pallottola in quel meraviglioso cervello? Io non credo che la tua sia una strategia vincente, credo anzi che le tue frontiere che danno sui vasti territori dell'avversa fortuna siano sguarnite, e destinate a cedere al primo attacco consistente. Per questa ragione su quelle frontiere io ammasso eserciti diversi dai tuoi. Tu cerchi di analizzare la realtà materiale sperando di poterla in qualche modo controllare, e così facendo implicitamente accetti di subordinare il pensiero ad una presunta realtà esterna che ne è in gran parte indipendente. Io invece cerco di potenziare il pensiero e allargare l'ambito del suo dominio, in modo tale che anche la realtà più dura si vada ad infrangere contro le mura della ragione pura ed incontrovertibile, una ragione che possa far apparire quella realtà come apparenza. Certo, non è facile mettere in atto la mia strategia esistenziale, e io per primo mi rendo conto di essere lontano dal compimento del mio progetto. Tuttavia ci sto lavorando, come ci hanno lavorato per secoli e millenni tanti altri, e in tutto questo tempo il pensiero - che un tempo fu ridotto al rango di mero specchio passivo della realtà - è diventato sempre più forte, tant'è che dopo l'idealismo anche uno come te - che sei un duro e puro delle definizioni operative ed algoritmiche - è costretto ad ammettere che è il linguaggio che plasma la realtà, sicché ti sei ridotto a collocare la presunta "cosa in sé" (quello che tu chiami il "no originario") in una singolarità del pensiero, una sorta di punto nel quale le equazioni di campo dell'idealismo diventano indefinite, ed il morso della realtà esterna si farebbe sentire implacabile al pensiero. Ma ti pare forse che una cosa come questa, che tu stesso fai fatica e dire ed a spiegare, sia una verità che è sotto gli occhi di tutti? Non assomiglia anche questa ad una di quelle costruzioni fantastiche che tu releghi spietatamente al rango di illusioni e difese mentali?» Ecco, innanzi tutto devo dire che questa domanda che mi poni (perché è questa la domanda che mi poni, vero? :-) ) è proprio una bella domanda. Detto questo, io ti rispondo facendoti osservare che alla fine il discorso si riduce ad una analisi della efficacia e della applicabilità delle varie strategia esistenziali. Per intenderci, se tu riuscissi davvero a portare a termine il tuo progetto, cioè a legare a filo doppio la tua percezione della realtà ad una presunta incontroverbile ragione, la quale - nonostante tutte le apparenze - ci imporrebbe di credere che il divenire nulla dell'essente è impossibile, ecco, se tu riuscissi in questa impresa io direi che la tua strategia è vincente, perché ha vinto. Riprendendo il discorso che facevo nell'altro thread, direi che ce l'hai fatta: sbattuto fuori dalla illusione a causa della tua mente lucidissima, hai intrapreso il giro lungo e finalmente sei riuscito ad entrare da qualche altra parte. Ovviamente tu, che nel frattempo saresti rientrato, diresti che sono io, là fuori, ad essere vittima di una illusione, e per di più una illusione che so benissimo essere assurda, perché impossibile, come è l'illusione che l'essente possa divenire nulla. Cosa vuoi che ti dica? Se ci riesci sono contento per te, e vorrà dire che per te quella è una strategia vincente. Però, se mi concedi di dare fondo alla mia invidia nei confronti di coloro che ci riescono, ti dico che secondo me tu non ci riesci. Magari qualcun altro ci potrà riuscire, ma il mio pronostico nei tuoi confronti è decisamente infausto :-) Questo discorso può essere allargato, uscendo dai nostri casi personali e abbracciando una dimensione storica e culturale più ampia. Come è noto Severino, che di questo discorso è l'ultimo dei grandi campioni, dice che alla fine anche il Cristianesimo è immerso nel pensiero nichilista dell'Occidente. Infatti, tanto per dirne una (e per semplificare un po' il discorso) se noi allarghiamo questa discussione ad uno che interpreta la realtà secondo l'interpretazione cristiana, costui è perfettamente d'accordo con me nel dire che le cose hanno un inizio e una fine, che i peli della barba di Socrate una volta c'erano e adesso non ci sono più, e che solo gli atomi che costituivano quei peli al limite ci sono ancora. Insomma, il cristiano non rifiuta nemmeno una virgola di quella descrizione della realtà che troviamo sui libri della scienza e della tecnologia, e che per Severino sono quasi l'essenza del nichilismo occidentale. Solo che poi il cristiano aggiunge che quella non è tutta la realtà, che c'è dell'altro: Dio, l'anima, la resurrezione, eccetera. Per te tutto ciò è assurdo. Per te o si riesce a salvare fino all'ultimo pelo della barba di Socrate, oppure è tutto perduto. Se c'è un solo pelo della barba di Socrate che era ed ora non è più, allora tutto l'universo è destinato ad essere inghiottito dal nulla, e non esiste altro orizzonte che non sia il nulla. Ti dico subito che io sono perfettamente d'accordo con te: se viene a mancare un solo pelo della barba di Socrate allora siamo fottuti. Dopodiché aggiungo che siccome i peli della barba di Socrate purtroppo sono venuti a mancare, allora siamo proprio fottuti. Una posizione analoga, per altro, la assumo anche nei confronti di certe forme di scientismo. Molti scienziati, come Dawkins e altri, scrivono dei libri e realizzano dei documentari in cui ci spiegano per benino che noi siamo il frutto di un certo meccanismo cieco che agisce senza alcun fine, poi ci spiegano per benino che ogni organismo e ogni specie hanno un inizio e una fine nel tempo, aggiungono quasi en passant che Dio non esiste, e poi dedicano le ultime pagine del libro o gli ultimi minuti del documentario a spiegarci che proprio questa consapevolezza e questa libertà dai miti può rendere la vita meravigliosa, facendoci gustare pienamente il fatto di essere qui adesso a contemplare questo universo che si dispiega alla nostra intelligenza. Ecco, se c'è un delirio di onnipotenza mi pare proprio essere questo, al confronto del quale la mitologia greca appare lucida e ragionevole, se non altro perché mostrava di essere più o meno consapevole della simbologia legata alle fantasie primarie che muovono la vita dell'uomo. Infatti io sono perfettamente d'accordo con quei religiosi che rispondono a Dawkins e a quelli come lui che c'è poco da ridere, e che se Dio non esiste allora siamo fottuti. Dopodiché - di nuovo - non mi resta che prendere atto del fatto che siamo proprio fottuti. Qui qualcuno potrebbe chiedermi come mai ci prendo tanto gusto ed essere (o almeno a considerarmi) fottuto. Masochismo? Desiderio (s)latente di avere rapporti sessuali in posizione passiva? Voglia di rompere i coglioni alla gente che lavora e che ha altre cose a cui pensare? Boh! Che ne posso sapere io di me stesso? Qui ci vorrebbe uno psicanalista (magari junghiano, così potrebbe anche farmi la predica, visto che il babbo di Jung faceva il predicatore). Il punto che ci interessa - al di là della analisi dei miei eventuali desideri più o meno inconsci - è un altro, e si concentra sulla seguente domanda: ce la facciamo? Di certo possiamo dire che le grandi religioni tradizionali "funzionano", poiché vediamo che esse hanno dato un senso alla vita degli uomini per secoli o addittura millenni e hanno prodotto delle grandi civiltà. Quella famosa verità che sta sotto gli occhi di tutti ci dice che uno può nascere, vivere e morire dentro l'interpretazione della realta offerta dalle grandi religioni tradizionali senza che quella interpretazione arrivi ad un punto critico di instabilità, che la faccia crollare su sé stessa. Certo, non è un equilibrio a prova di bomba, ma tenuto conto che ci stiamo muovendo sull'orlo del baratro del nulla tutto sommato è un equilibrio che si dimostra piuttosto stabile. Le cose vanno molto diversamente per l'idealismo, soprattutto nella sua versione più dura e pura. Tempo fa tu facevi osservare che il cattolicesimo potrebbe superare certi suoi problemi concettuali di fondo se si spostasse un po' verso una posizione idealistica. Io ti ho risposto che se facesse una cosa del genere perderebbe una miliardata di fedeli per acquistarne forse tre o quattro (te, Severino, e pochi altri). Su questo tu mi hai dato ragione, per cui ti rendi conto da te che c'è qui un immenso (e insuperabile) problema di "cordata". Ciò di cui forse ti rendi meno conto è che se le cose stanno così non è perché - come dicono gli idealisti - la religione è una sorta di filosofia per le masse incolte. No, il fatto è che ogni difesa mentale (anche le mie, ovviamente) ha un nucleo delirante (il cosiddetto nucleo psicotico), e le ragioni per cui il delirio idelista è un delirio che non è per tutti, ma anzi è per pochi, non è perché esso sia il più sublime di tutti i deliri, quello riservato agli eletti (questo è un delirio posto a difesa di un altro delirio - una strategia che la psiche usa spessissimo), ma è perché per coltivare il delirio idealista occorre una stuttura mentale che è decisamente instabile. E come è difficile osservare in natura le particelle altamente instabili, così di persone che possono aderire per tutta la vita e in modo stabile al delirio idealista ce ne sono pochissime. Tanto per intenderci (e semplificando un po'), per aderire con la massima coerenza al delirio idealista (costruendosi una realtà nella quale i peli della barba di Socrate sono ancora tutti lì e anzi sono sempre stati lì) bisogna essere molto intelligenti e molto matti. Ora, non è difficile essere molto intelligenti e molto matti: io per primo sono sicuramente molto matto, e c'è chi dice che sia persino piuttosto intelligente. Il problema - come dicevo - è che quando queste due componenti (l'analisi lucida delle realtà e il delirio) posseggono entrambe delle grandi energie (di solito messe a disposizione da grosse inibizioni sessuali) fanno molta fatica a trovare un equilibrio, per cui periodicamente una delle due prende il sopravvento sull'altra. Così si hanno dei periodi in cui l'analisi lucida prende il sopravvento - e anche tu ti rendi conto benissimo che Hegel, Severino e compagnia bella hanno scritto un fila di stronzate pazzesche spinti da una disperazione scomposta - dopodiché questo fa traballare le difese e allora parte in quarta il delirio, sicché il pensiero diventa inaccessibile al confronto con qualunque altro pensiero. Ci sono dei momenti, infatti, nei quali con te non si discute. Ora, finché questo equilibrio instabile agisce nella mente di un filosofo sessualmente inibito (uno che ha dei problemi di erezione, nel senso che non gli tira quando sarebbe il caso o - peggio - gli tira quando proprio non sarebbe il caso), non ci sono grossi problemi, poiché di solito costui continua per tutta la vita a farsi delle seghe mentali, e il massimo danno che arreca agli altri è che gli fa due palle così ogni volta che riesce ad incastrarli in una delle sue fumose discussioni. La cosa invece prende una brutta piega se il filosofo inibito incontra un maschio alpha psicopatico, perché uno fortemente inibito tende spesso a scegliersi come leader uno psicopatico, per ragioni che più o meno puoi intuire, al di là delle spiegazioni tecniche. In tal caso il povero filosofo idealista, che voleva solo rifugiarsi in qualche forma di assoluto e di eternità per sfuggire dall'angoscia, finisce per rendersi ampiamente complice di qualche tragedia storica. E questo è stato il destino comune di gran parte dell'idealismo, sia di destra che di sinistra. Ovviamente non sto dicendo che c'è il pericolo che tu ti metta a fare l'ideologo di corte di qualche regime sanguinario, se non altro perché non ce ne sono le condizioni materiali, visto che in questo frangente storico il sistema capitalistico - che si regge su una idelogia individualistica, anche se poi in esso l'individuo viene disgregato - gira a pieni giri ed esprime tutte le sue potenzialità ecomiche a livello mondiale, sicché non c'è nessuna idelogia collettivistica che al momento possa contrastarne il potere. Ma al di là del fatto che il filosofo idealista possa o non possa finire effettivamente a fare l'ideologo di corte di qualche regime, questa possibilità in sé segna il fallimento di quel progetto, un fallimento che quando si invera è tragico, e quando non si invera diventa comunque grottesco, o banalmente ridicolo. Come ti dicevo tempo fa, il fatto che un filosofo come Gentile, con tutte le sue intelligenti riflessioni condotte per decenni ai massimi vertici della filosofia, al momento di distillare una prassi da quelle riflessioni non abbia saputo dire altro che «il Duce ha sempre ragione» segna la sconfitta di quel pensiero. Non tanto per le tragedie che si sono consumate e per il fatto che hanno perso la guerra, ma come fatto in sé, a prescindere dalle vicende storiche connesse a quella prassi. > Ma esiste uno spazio in cui possa sopraggiungere la chiamata della > ragione - uno spazio in cui dunque si ponga il problema se anche quella > «condizione umana» di cui parli, sia sottoposta all'alternativa apofantica > vero/falso, e cioè alla possibilità di essere una «balla»? Il cinismo spaccone che ostento spesso nei miei scritti (e che a volte - cambiando registro stilistico - faccio scivolare nel tipico understatement anglosassone) è chiaramente una difesa, per altro anche piuttosto infantile e facilmente decrifrabile per chiunque. Chiunque, infatti, se vede un ragazzino che grida sprezzante ai suoi compagni di classe che Babbo Natale non esiste, e che chi ci crede ancora è un fesso, capisce che quel ragazzino ha bisogno di raccontarsi di essere "grande", e di non avere più bisogno di credere a Babbo Natale. Ora, dal momento che questa mia è chiaramente una difesa, al pari delle tue essa in me è sicuramente protetta da qualche "delirio", per cui questa è una cosa di cui "con me è impossibile discutere". Anche se avessi torto marcio e stessi negando l'evidenza, non intenderei ragioni, e chi generosamente volesse tirarmi fuori dal tunnel non potrebbe certamente affrontarmi in modo diretto, a suon di teoremi e ragionamenti rigorosi. Capisci benissimo che non è con i teoremi di logica che puoi forzare la cassaforte di uno come me, visto che da buon cardinale scardinalato non ho alcuna difficoltà a rigirare infinitamente le parole. Dunque sì, è possibilissimo (e anche piuttosto probabile) che la mia strategia esistenziale stia proteggendo una balla, ma se hai deciso di salvarmi da me stesso temo che la "ragione dialettica" non ti sarà sufficiente. Questa però potrebbe essere la strategia di chi si sente massimamente minacciato proprio dalla "ragione dialettica", per cui tu magari provaci, ché non si sa mai. Se un giorno mi sveglierò libero dall'angoscia esistenziale te ne sarò grato, e non cercherò nemmeno di capire come hai fatto a... fregarmi :-) -- Saluti. D.