Subject: Re: Jaspers: forma e contenuto Date: Thu, 27 Dec 2007 15:13:33 GMT From: "L" Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.discussioni.psicologia "Amelia" ha scritto nel messaggio news:83Z181Z179Z125Y1198750733X10065@usenet.libero.it... > stavo leggendo: < mentale > nei due volumi di cui si compone la sua Psicopatologia generale, un > classico > della letteratura psichiatrica, da cui sono derivati alcuni criteri > diagnostici. Di particolare importanza è la convinzione che i sintomi > debbono essere analizzati e diagnosticati per la loro forma piuttosto che > per il loro contenuto.>> > > > ehm... che vuol dire "i sintomi devono essere analizzati e diagnosticati > per > la loro forma piuttosto che per il loro contenuto"? > > qualcuno ha quache esempio illuminante? :-)) > > Amelia e le sue curiosita' :-)) Mi scuserai Amelia se io, come peraltro è mio costume già dai tempi del liceo, mi sia chiesto: "Ma perché Jaspers è importante nella storia dell'umanità, se è importante?" La risposta è -per esempio- in questo link: http://www.psychomedia.it/pm/training/corsi/1998-2005/urbino-01-02.htm Nelle prime righe, guarda caso, si risponde (in parte) alla tua domanda: Ossia perché la forma (la sintomatologia) sarebbe più importante delle cause (eziodinamica). Si noti che siamo intorno alla metà del 900, con gli scritti di Jaspers. Freud non aveva ancora formalizzato la psicoanalisi in modo sedimentato. (Freud: Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939) Ciò nonostante già l'11 settembre del 1935 Einstein scriveva a Popper (in un carteggio reperibile in allegato a "Logica della ricerca scientifica" di Karl Popper) che chi fa scienza non deve dire le sue deduzioni finché si rimane sul piano analitico, ma rimanere *ai fatti*. Per esempio quando dice: ++ cit on ++ Desidero ripetere che non credo che lei (lei: Einstein si riferisce a Popper) abbia ragione quando sostiene la tesi che è impossibile derivare conclusioni statistiche da una teoria deterministica. Le basti pensare alla "meccanica statistica classica"(la teoria dei gas o del moto browniano). Esempio: un punto materiale si muove di velocità costante in un circolo chiuso (ndr: per ipotesi della teoria); io posso (ndr: allora) calcolare la probabilità di trovarlo, in un tempo dato, in una data della periferia. Ciò che è essenziale è solo questo: (ndr: sto introducendo -però- l'ipotesi che) "io non conosco lo stato iniziale", o (ndr: meglio) non lo conosco con precisione! Con i migliori saluti, suo A. Einstein ++ cit off ++ Jaspers da il suo contributo quindi a questa "linea di pensiero", l'oggettivismo scientifico. E lo da notando che proprio per essere fedele *ai fatti*, non ci si può astrarre -in un esame- da una "cronistoria specifica", e ci si deve astenere -in fase analitica- da illazioni generaliste, e quindi introducendo una "soggettivizzazione al caso specifico", come metodo di fedeltà all'empirismo di ciò che si osserva specificamente. (Il che risulta -peraltro- da molti interventi pubblici di Einstein nell'esame di nuove teorie che cercavano di corroborarsi anteponendo le spiegazioni ai fatti specifici che si proponenvano di spiegare). Per quello che può valere io mi trovo molto daccordo su questo "impara l'arte e mettila da parte" che è il rivolgersi a ben distinguere la fase analitica da quella sintetica. E' la costatazione che la teoria dei modelli è basilare per inquadrare qualunque problematica scientifica, ma nel campo della ricerca sperimentale non ci si può fermare a ciò che dico i modelli o i quiz. Necessita una "logica della scoperta scientifica" che *non può essere automatica*, e ciò -> per il carattere polidromo e poliforme del reale che -quindi- necessita di una particolarizzazione che esamini *i fatti specifici*, prima di proporre una sintesi che valuti l'unicità davanti a cui ci si pone. Quindi è normale la tua meraviglia nel notare l'apparente controsenso di volersi basare sulle "apparenze", anzichè su teorie di cause valide in automatico. Ma -a mio avviso- non ci si sta riferendo a ciò che appare come effetto di dis-orientamento da ciò che è immerso sotto la forma (rinunciando all'esame del noumeno Kantiano). Bensì alla fiducia che un "esame analitico non superficiale" -> ci può dire cose irrinunciabili nel formasi un idea di -> "come ci si possa essere portati in un certo stato finale e proprio quello". Naturalmente potrebbe esserci un istinto di autoprotezione della funzione medico/scientifica -nella fase di diagnosi- ottenibile meramente da dati fenomenici, e quindi una non ascrivibilità -al medico/scienziato- di non aver avuto la sensibilità di accorgersi di come fare -> affinché la diagnosi potesse essere efficace. Ma "il scienza e coscienza" sia per chi costruisce un ponte, sia per chi esamina (da un punto di vista medico) dei sintomi, deve raccogliere informazioni sufficienti per poter fare *qualcosa di valido (in tempo utile)* senza rimanere in contemplazione (in eterno) e valutando -per quello che gli risulta- che i dati fossero sufficienti ad un'azione sintetica. E quindi siamo in presenza di un invito a non trascurare e stereotipare -una tantum- la fenomenologia dentro le tassonomie pre-formattate, ma ad interagire con l'oggetto di indagine, poiché la realtà -se la sappiamo ascoltare- "ci parla (ci appare senza infingimenti) e ci dice molto di sé". Grazie dell'occasione Amelia, Lino