Subject: Re: "This Cantor is Killing Me" [sul concetto di metodo] Date: Tue, 26 Aug 2008 11:01:23 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato Le notazioni seguenti non sono per Davide, specificatamente, ma per fare il punto sulle notazioni "ben formate" e sul concetto di metodo. Anche perché notavo una certa difficoltà di comunicazioni di informazioni tra Davide e Loris, e per aiutare la discussione, magari estesa a un pubblico più vasto: Davide Pioggia wrote: > > Loris Dalla Rosa ha scritto: > > >> 2) oppure non si può dire che gli elementi di A sono n, cioè per ogni n è > >> falso affermare che gli elementi di A sono n, il che non significa > >> ovviamente che il numero è "qualunque"; no, è che proprio esso non è > >> definito. > > > e non e' questo il caso, perche' la dimostrazione di Cantor e' > > "costruttiva" e necessariamente deve fondarsi su un numero finito di > > elementi. > > Eh, no, è qui il punto. > > Adesso ti faccio vedere come funziona il teorema di Cantor "senza numeri". > > Dunque, sia dato un insieme A, poi un insieme B, che per semplicità possiamo > considerare costituito da due soli elementi, che indichiamo con "+" e "-" > (sì, lo so, ho nominato il numero due, ma è assolutamente inessenziale, > perché è A che ci interessa, e potrei farlo anche con B qualunque). > > Bada bene che sulla "lunghezza di A" non ho detto nulla. Può essere > costituito da un certo numero n di elementi, oppure può anche darsi che > proprio non abbia senso chiedersi "quanti elementi ha A". È una nozione che > proprio non ho intenzione di usare. È per questo che dicevo di volermi > "allenare all'uso del maglio", per quando sarebbe veramente servito. > Ed ora mi serve veramente. > > Dunque, abbiamo 'sto insieme A, e anche l'insieme AxB, che è l'insieme di > tutte le coppie ordinate costituite da un elemento di A e un elemento di B. > Cioè: > > per ogni a in A e per ogni b in B, (a, b) appartiene ad AxB > > (come vedi uso solo il quantificatore universale, e non pretendo di dire > "quanti sono" gli elementi di A, o quelli di AxB). > > Ora considero tutti i sottoinsiemi di AxB fatti in un certo modo, e per la > precisione considero quei sottoinsiemi f tali che > > per ogni a in A esiste uno e un solo b in B tale che (a, b) appartiene ad f > > Questi sottoinsiemi di AxB li chiamo "funzioni da A e B". > > Prendo allora l'insieme di tutte le funzioni da A e B, e lo chiamo B^A. Sia A = {a1, a2} B = {b1, b2} AxB = {(a1,b1), (a1,b2), (a2,b1), (a2,b2)} f: A -> B (f è una funzione, ossia la proiezione(implicazione grazie a regola) di A che crea B) f(a) = b In letteratura si trova -in vero- f(x) = y dove f(x) vede (quando si sostituiscono dei valori) "x=ai" appartenere ad A = {a1, a2} dove y vede (quando si sostituiscono dei valori) "y=bj" appartenere a B = {b1, b2} Si noti che x è un valore generico che assume un valore solo dopo aver scelto nell'intervallo (range in cui può assumere valore) tra i valori di A = {a1, a2} Così pure y è un valore generico che assume un valore solo dopo aver scelto nell'intervallo (range in cui può assumere valore) tra i valori di B = {b1, b2} Da cui la coppia (ai,bj) originata da f è un sottoinsieme di AxB = {tutte le possibili coppie di A e B} Però x si usa -in genere- quando il valore -in f(x)=y- è ancora incognito, mentre la lettera "a" solo nelle notazioni in cui si è scelto un valore per x, ossia se dico y=f(x) è y=x^2 solo se scelgo (per esempio) x=2 -allora- x diviene un valore tale che y=2^2=4 tal che si potrebbe "parametricizzare" y=a^2 intendendo che "a" non è su un range ma un "preciso" valore. Quante f distinte esistono (nelle notazioni ora introdotte)? Chiamiamo tale insieme di tutte le funzioni ff f1(a1)=b1 (sul piano y=f(x)=x, posto a1=1, a2=2, b1=1, b2=2) f1(a2)=b2 f2(a1)=b2 (sul piano y=f(x)=2) f2(a2)=b2 f3(a1)=b1 (sul piano y=f(x)=1) f3(a2)=b1 f4(a1)=b2 (sul piano y=f(x)=-x+3) f4(a2)=b1 Allora ff = {f1, f2, f3, f4} = in ip piano {y=x; y=2; y=1; y=-x+3} che dimensione (dim) ha ff? dim ff = dim B^(dim A)= 2^2 = 4 f -quindi- realizza una proiezione da A -> B da cui ff=B^A oppure che f appartiene all'insieme di tutte le funzioni ff=B^A Dove B^A va inteso come etichetta di dominio e codominio di f e non elevazione a potenza tra insiemi, anche se ( e ciò giustifica -in parte- la notazione): dim ff = dim B^(dim A)= 2^2 = 4 Con A=(a1,a2,a3) e B=(b1,b2) dim ff = dim B^(dim A)= 2^3 = 8 funzioni, etc. Accenno allo sviluppo con A=(a1,a2,a3) e B=(b1,b2): f1(a1) = b1 f1(a2) = b1 f1(a3) = b1 f2(a1) = b1 f2(a2) = b2 f2(a3) = b1 .... f8(a1) = b2 f8(a2) = b2 f8(a3) = b2 > > Ora ipotizzo (per ora lo ipotizzo senza aggiungere altro, e solo in seguito > salterà fuori una contraddizione, la quale mi costringerà a dire che la mia > ipotesi era da respingere - dico questo perché così non sono nemmeno > costretto a parlare di "assurdo") ipotizzo, dicevo, che esista una > corrispondenza biunivoca da A ad AxB, cioè una "funzione funzionale" > F tale che: > > per ogni funzione f in B^A esiste uno e un solo a in A tale che f = F(a). Ossia ipotizzo che se A = {a1,a2} B = {b1,b2} AxB = {(a1,b1), (a1,b2), (a2,b1), (a2,b2)} ff=A^B={f1, f2, f3, f4} «dato f in A^B esiste uno e un solo "a" in A tale che f = F(a)» ossia f1 = F(a1) f2 = F(a2) > > Costruisco allora una funzione dg da A a B così definita: > > per ogni a in A, dg(a) = F(a)(a) Ossia «per ogni a in A, dg(a) = F(a)(a)» (1) dg(a1) = F(a1)(a1) (2) dg(a2) = F(a2)(a2) > > Dopodiché definisco la funzione differenza D da B a B: > > D(+) = - > D(-) = + > > e compongo questa funzione con la funzione dg per ottenere la funzione adg, > così definita: > > per ogni a in A, adg(a) = D(dg(a)) *********************** (3b) adg(a) = D(dg(a)) *********************** (3) adg(a1) = D(dg(a1)) (4) adg(a2) = D(dg(a2)) (4a) B = {b1=+, b2=-} (4b) D(b1=+) = - (4c) D(b2=-) = + > > Ora sfrutto il fatto che la F realizza una corrispondenza biunivoca, per cui > deve esistere un certo a0 in A tale che: > > adg = F(a0) > > da cui segue che > > per ogni a in A, adg(a) = F(a0)(a) (5) adg(a1) = F(a0)(a1) (6) adg(a2) = F(a0)(a2) > > Se è vero per ogni a, allora è vero in particolare per a0, per cui si ha > > adg(a0) = F(a0)(a0) > > ma per definizione è anche Ossia dalla (1), (2) E' vero che esiste almeno un a0 tale che (7) F(a0)(a0) = dg(a0) > > F(a0)(a0) = dg(a0) > > da cui segue che Ossia dalla (7) lasciando dg (a secondo termine) e sostituendo F(a0)(a0) con la (5) e (6) (8)* adg(a0) = dg(a0) > > adg(a0) = dg(a0) > > e siccome > > adg(a0) = D(dg(a0)) (3b) adg(a0) = D(dg(a0)) > > allora > > dg(a0) = D(dg(a0)) Ma la (8)* e la (3b) sono in contraddizione, Poiché la 3b (3b) adg(a0) = D(dg(a0)) crea uno spazio complementare applicano l'operatore D sull'insieme {-,+} mentre la (8)* (8)* adg(a0) = dg(a0) vede al primo termine la stessa espressione della (3b) ma al secondo termine non più D su dg(a0) ma semplicemente dg(a0) e quindi a sua volta lo spazio complementare della (3b) > > da cui > > dg(a0) <> dg(a0) > > che è la negazione del principio di identità, e come tale è leggermente > contraddittoria :-) > > Come vedi non ho mai nominato la "lunghezza di A", e mi sono limitato ad > usare i quantitficatori. > > Dunque o io ho sbagliato ad usare i quantificatori, oppure chi voglia > contestare la dimostrazione di Cantor deve contestare l'impiego dei > quantificatori per un generico insieme A. Ma allora il problema diventa un > problema di logica, e per tirare giù Cantor bisogna tirare giù buona parte > della logica moderna. > > -- > Saluti. > D. Commento: Da cosa è motivata questa contraddizione? Dalle corrispondenze sulle proiezioni che -come abbiamo visto esplicitando il vero spazio delle funzioni- sono state ipotizzate e essere associate in modo malformato. Altre malformazioni sono usare l'argomento di un funzionale tra parentesi sia per etichetta che per funzione di funzione o di variabile. Ad esempio un funzionale di y si scrive: F(y) = F(f(x)) = F{f[x(t)]} Ossia se ad esempio x(t) = t^2 la funzione può essere una moltiplicazione per la costante 3 f(x(t)) = 3t^2 Il funzionale può essere una moltiplicazione della f(x) per se stessa. F(f(x(t)))= (3t^2)(3t^2) Mentre nel citare strutture tipo: dg(a) = F(a)(a) Si commistionano etichette per le funzioni di funzioni, ossia i funzionali, con la stessa notazione degli argomenti di una funzione. Ora -tornando a noi- a mio avviso, non serve mostrare che sullo spazio della collezione di tutte le funzioni associabili a un insieme di valori dati vi sono contraddizioni, se non si utilizzano correttamente le associazioni sulle proiezioni possibili. Perché la contraddizione (o l'assurdo) è motivato dal *carattere malformato delle ipotesi*. Diverso è il discorso sull'argomento diagonale di Cantor. A quanto risulta (a me) Cantor fa (o meglio faceva) questo ragionamento: Si scelga una collezione di valori in una tabella bidimensionale Nel senso che ciascuna riga sia una collezione comunque estesa. Ebbene se questo numero di righe e colonne è comunque esteso ed è originato dai razionali io (dice Cantor) sono in grado si dimostrarvi che è numerabile, ossia so creare una associazione biunivoca con i naturali, infatti la tabella può essere scritta così: 1/1 1/2 1/3 .. 2/1 2/2 2/3 .. 3/1 3/2 3/3 .. e io (dice Cantor) sono in grado di visitarla tutta (e trovare una corrispondenza con N={1,2,3, ...n} scelto n comunque grande). Mentre se ipotizzassimo che nei posti aij *non* vi fossero i razionali la tabella non sarebbe numerabile, poiché comunque _voi_ la riempiate io sono in grado di dimostravi che vi sono numeri che io posso costruire sulla Vs tabella e che dico non essere nella Vs tabella, e ciò perché i razionali non descriverebbero -per esempio- gli irrazionali (ad esempio il numero = rad (2)). Ora Cantor dimentica di dire alcuni fatti importanti. Gli irrazionali e i razionali -se agiamo al finito- non sono distinguibili, poiché dato un irrazionale generato da radice quadrata di 2 _*ma di un numero finito di cifre*_ io (in questo caso Lino) sono in grado di descriverlo con un razionale, per lo stesso numero di cifre, ossia un numero originato dalla divisione di un numeratore e un denominatore interi opportunamente lunghi, però al finito. Esempio: rad quadrata di 2( con 4 cifre)=1,4142 Ho il seguente sistema num/den = 1,4142 ip: num naturale ip: den naturale Scelgo den=20000 ottengo num = 1,4142*(den) =1,4142*20000=28284 28284/20000=1,4142 cvd. Inoltre come collocazione in tabella, sapendo che il numeratore = riga, il denominatore= colonna: a(riga=28284,colonna=20000=a(i,j)=1,4142 nella mia (di Lino) tabella dei numeri razionali che però descrive (al finito) anche quelli irrazionali. Quindi _l'unica cosa che ha dimostrato Cantor_ è che i razionali sono numerabili. La numerazione di cardinalità superiori ai razionali non è dimostrabile con tabelle bidimensionali (se non mostrando che è assurdo), né con uno studio di funzioni o funzionali, poiché necessita l'introduzione del concetto di *partizione di un insieme*. Forse nessuno se ne sarà accorto, ma ciò ho fatto nel mio scorso post. cit: Subject: Re: "This Cantor is Killing Me"[?] [alé alé alef! e la conta delle pecore ...] Date: Sun, 24 Aug 2008 10:39:17 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato References: 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , 9 , 10 , 11 , 12 , 13 , 14 , 15 , 16 , 17 , 18 , 19 , 20 , 21 , 22 Ossia ho mostrato _con una analisi al finito_ come lo studio delle partizioni al finito, e poi lo studio del limite di tali partizioni, porta alla giustificazione del concetto della serie degli alef. Infine, nel concetto di rappresentazione, uno spazio complementare -a uno dato- copre _per definizione e per logica_ ogni altro ente rispetto a l'insieme che contenga sia la rappresentazione data che lo spazio complementare associato. Quindi se si investiga sugli spazi *esterni* allo spazio dei razionali è elementare usare il *concetto di partizione e di spazi complementari*, senza però pretendere di dire cose definitive poiché le collezioni avranno copertura solo "rispetto a che". E ciò è una questione di metodo. Saluti, L