Subject: Re: il nome della cosa - 2 Date: Fri, 27 Jun 2008 09:09:00 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato qf wrote: > > "Davide Pioggia" > > Nel primo articolo di questa serie ho ripreso un celebre articolo di > > Quine, > > il quale si pone la domanda «Che cosa c'è?» e si risponde «Tutto», che poi > > in inglese viene espresso analiticamente dicendo «Ogni cosa»: > >[...] > > > > Certo, molti di noi non credono che gli unicorni "ci siano" nello stesso > > modo in cui "ci sono" gli elefanti o i cavalli. Tuttavia anche gli > > unicorni > > in qualche modo "ci sono", se non altro sono presenti come immagini > > nella fantasia di coloro che ne parlano. > > Proviamo a metterla così: > > 'Cosa' designa ogni possibile bersaglio della nostra attenzione e/o della > nostra percezione quando non sappiamo o non vogliamo o non ci serve > specificarlo. > > Per questa ragione penso che la filosofia abbia dedicato poco spazio a > 'cosa': è un termine jolly che può applicarsi a qualunque area delimitata > appunto dalla nostra attenzione/percezione (indipendentemente dal fatto che > ciò che vi rientra ci sia in concreto). Esattamente come 'merce', che si > applica dalle noccioline ai grattacieli nel linguaggio appunto mercantile > (esiste persino merce virtuale). > Ciò che ci si aspetta è un non-abuso di tali termini jolly, utili quando > servono (il che vale anche per 'ente', 'entità' ecc.) > Sulla questione della "coseificazione", ossia fare "di ogni ente una cosa", vorrei fare anch'io un breve commento: A mio avviso *non è chiaro* il per-chi-è, ossia perché, il termine *cosa* non sia maggiore oggetto di indagine, a causa del fatto siamo troppo immersi che per distinguere serve una luce in cui l'ente si manifesti. Siamo ancora troppo immersi nell'idea illuminista che gli enti per 'esserci' debbano manifestarsi. Stiamo sottointendendo che se non si manifestano a chi esegue una misura "è come se non ci fossero". L'amico Heisenberg su ciò formulò uno dei vertici della teoria della misura dai più ancora ritenuto valido (e da me solo come verità relativa e non assoluta). Heisenberg ragionava così: Ma se per vedere una particella la devo "perturbare" ossia darle fastidio affinché si manifesti, il fatto che io gli dia fastidio per poterla misurare -> di quanto lo posso ridurre(?) in modo tale che la mia misura sia la più accurata possibile? Elementare: del quantum minimo. Quanto vale, chi è, in un sistema fisico il quantum minimo? Elementare: il fotone. Quindi ora mostrerò (secondo me continuava Heisenberg) che l'errore minimo che posso commettere per misura velocità e posizione di una qualunque particella elementare è in relazione a tale quantum minimo (Aggiungo io: lo stesso vale per chi conosce di teoria dei segnali per il minimo errore nei segnali digitalizzati, in cui il quantum minimo è l'estensione con cui si rappresenta: il bit). Mi rimetto a soggetto del dire: Ora il precedente non è che non sia approssimativamente vero. Ma commette un grave errore concettuale. Non ci sia accorge che nessuno obbliga che un bit abbia una "fissata" estensione minima, né che la materia/energia abbia un quantum minimo! Se infatti -finora- si è sempre potuta scomporre la materia e nessuno ha potuto affermare di avere trovato un quantum minimo, perché nella conversione e=mc^2 l'energia (anche sotto forma di fotoni) associata alla materia dovrebbe avere un fotone minimo? Nonostante Davide dica che i filosofi non si siamo interessati con sufficienza alla coseificazione, io sono di avviso contrario. La filosofia greca non "inventa" il concetto di "atomo"(?), ossia mattone fondamentale indivisibile, oltre il quale non è possibile una ulteriore scomposizione? (e potrei mostrare come la filosofia orientale arriva ai concetti di simmetria ben prima dell'occidente, e tali concetti sono stati utilizzati nello studio della catalogazione delle particelle elementari dalla fisica moderna, oltre che la matematica cinese nella FFT, la fast fourier transform). http://en.wikipedia.org/wiki/Fast_Fourier_transform Come si chiama -oggi- un simbolo, un insieme, un ente, un "qualcosa" che non sia ulteriormente scomponibile(?) anche nelle grammatiche formali? Non si chiama "simbolo atomico"? Quindi nella costruzione del muro illuministico della conoscenza si è costruito con il mattone fondamentale, una unità di riferimento presa a modello base, sia essa il metro, il peso, il fotone, il carattere linguistico, etc. Naturale però che quella sorta di filosofo che era Aristotele si ponesse un problema già chiaro (senza troppa necessità di luce) anche allora: Ma sotto la forma .. cosa è la substanziam? Ossia possiamo conoscere solo l'esteriore(?) .. ciò che ci risulta esserci perché si mostra? .. o possiamo intuire oltre la corteccia che la corteccia che si manifesta non sia "tutto ciò che è" .. anche se non si mostra esplicitamente? Aristotele -un gigante della filosofia- non si pone solo il problema della evidenza, ma il problema dell'essenza: ciò che è senza che si manifesti, E-senza. Non che sia sbagliato volare basso, secondo una ricerca che qualifichi per esempio gli ingegneri come "tecnici" quelli che sanno perfettamente seguire una procedura senza sapere *cosa* abbiano fatto. Ma oltre il nome della cosa o della rosa, oltre la semantica, oltre che l'esteriore -> vi è l'e-senza, e non mi pare poco. Nessuno obbliga a spingersi fino a lì. Per fare *che* poi? : - ) > Ah! 'What' non implica 'thing' o non lo sottintende più di quanto una bocca > vuota implichi o sottintenda ciò che vi cascherà dentro -- se mai vi > cascherà. In questo la lingua inglese è anzi più rigorosa, o più prudente, > della nostra. > > Circa Aristotele e il professore di filosofia intelligente e preparato che > rivela così clamorosamente l'"inconsistenza" del primo, non ti viene da > chiederti quale dei due -- il professore di filosofia intelligente e > preparato o Aristotele -- sarà ancora *vivo* fra altri duemilacinquecento > anni? Io sospetto che sarà Aristotele, e che anche allora ci sarà un altro > professore di filosofia intelligente e preparato che mostrerà al suo > ammirato uditorio l'"inconsistenza" del primo. > > Senza andare così lontano nel tempo, sai quanti professori intelligenti e > preparati hanno mostrato (per esempio) l'"inconsistenza" di Freud? Eserciti. > > E' che leggendo questi "inconsistenti" uno si dice sempre: "Azz! Qui c'è > qualcosa da capire: c'è e mi sfugge, è sempre un passo più in là, non ho > capito abbastanza, non ho affinato abbastanza." > E invece questo non succede mai con i professori intelligenti e preparati, > che quando esci dalle loro lezioni ti sei già dimenticato delle loro parole, > perché non c'era una sola briciola da capire al di là di esse. Nessuna > sfida, nessuna umana ambiguità che poi è lo spirito della ricerca (e anche > dell'arte). Non è però lo spirito delle formule evidentemente, o delle norme > ISO. > > Saluti > qf Ed infatti Aristotele non è lui -> perché si chiamava Aristotele, ma per quello che pensava e per quello che diceva e scriveva. Comunque potrebbe persino essere che tra *duemilacinquecento anni* gli scritti di un certo qf, o del nostro piccolo laboratorio del pensiero, siano presi a oggetto di investigazione, magari da professori intelligenti e preparati che ci capiranno poco e si chiederanno cosa volevamo dire .. Saluti, L