Subject: Re: dubbio sostanziale Date: Mon, 30 Jun 2008 15:58:04 +0200 From: "Marco V." Organization: TIN.IT (http://www.tin.it) Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato "Davide Pioggia" ha scritto nel messaggio > Come ho avuto modo di dire in diverse circostanze, la scienza ritiene > di conoscere delle implicazioni fattuali, di questo tipo: > > se accade questo, allora accade anche quello. > > Ne viene che qualora venga espressa la volontà di fare accadere quello, > la scienza risponde: > > se vuoi che accada quello devi fare in modo che accada questo. Tu stesso osservi più sotto: > A volte la scienza non conosce una sola prassi per fare accadere un certo > evento, ma ne conosce più di una. Inoltre la scienza non può essere certa > che per far accadere un evento non esistano altre prassi oltre a quelle > che > le sono note. Dunque volendo essere cauta la scienza dovrebbe rispondere > che > se si vuole che accada un certo evento bisogna adottare una delle prassi > che > sono già note alla scienza per fare accadere quell'evento, oppure fare > delle > ricerche per trovare delle prassi alternative. E allora, proviamo a ragionare sul significato di quella "cautela", seguendo poi le conseguenze. Abbiamo: se accade A, allora accade anche B. Ma allora la forma logica che ci permette di collegare la volontà al nesso fattuale è: se vuoi che accada B, allora *puoi* fare in modo che accada A (perché far accadere A è un modo per far accadere B). La scienza, cioè, non può escludere che esistano altri nessi fattuali che, espressi in forma condizionale, abbiano B nel conseguente ed una cosa X differente da A nell'antecedente. Se anche l'unico esempio valido conosciuto dello schema "se accade X allora accade anche B" fosse proprio "se accade A allora accade anche B" - se cioè la scienza non conoscesse che A, come termine concreto da sostituire ad X in modo da ottenere un nesso fattuale - la scienza continuerebbe a non poter dire "se vuoi che accada B allora devi far accadere A". Potrebbe invece, in base al nesso fattuale "se accade A allora accade anche B", dire "se non vuoi che accada B, allora non devi far accadere A". Tutto questo può sembrare una sottigliezza priva di conseguenze importanti. E invece non lo è, se teniamo presente che né in "se vuoi che accada B allora puoi far accadere A" [1] né in "se non vuoi che accada B, allora non devi far accadere A" [2], è contenuta l'indicazione (sia pur sotto una condizione) concreta della cosa che deve essere fare. In [1] è evidente perché non lo sia. Quanto a [2], se anche la scrivessimo, tramite una conversione di "non devi fare" in "devi non fare", come "se non vuoi che accada B, allora devi non far accadere A", la scienza non sarebbe in grado di dirmi che cosa devo concretamente fare perché A non accada. Infatti, se anche la scienza, sapendo connettere A alla serie causale, disponesse di un nesso fattuale del tipo "se accade C allora non accade A", si riproporrebbe la stessa situazione: "se vuoi che A non accada allora puoi far accadere C". Una obiezione possibile al mio ragionamento consiste nel far notare che, davanti alla espressione della volontà di far accadere B, la asserzione scientifica del nesso causale "se accade A allora accade anche B" [3] si trasforma in "se vuoi far accadere B allora *fai* accadere A" [4]. In base a questa obiezione, in [4] è implicita la consapevolezza della possibilità della esistenza di altri nessi causali coinvolgenti B, sì che la [4] si limiterebbe a dare una indicazione concreta che non pretende di avere il carattere della necessità deontologica. Ma poiché non si ha un fondamento per escludere che esistano altre prassi, oltre a quella consistente nel far accadere A, in grado di far accadere B, allora l'enunciato [4] viene ad esprimere un comando (condizionato) di far accadere B, il quale comando *eccede* la trasformazione dell'enunciato [3] in un enunciato che, sulla base della conoscenza di un nesso fattuale, voglia dare alla volontà di far accadere B l'indicazione di una prassi da seguire per ottenere il voluto. Insomma, l'enunciato [4] viene, per così dire, a comandare troppo. (e inoltre, potrebbe darsi anche il caso che la volontà che vuole far accadere B non voglia far accadere A; e solo nel caso in cui la [3] fosse l'unico nesso fattuale in cui B sia coinvolta nel conseguente, la scienza potrebbe imputare la contraddizione alla volontà che vuole far accadere B senza [volere] che accada anche A). Sembra proprio, perciò, che le asserzioni scientifiche dei nessi fattuali non possano trasformarsi che in enunciati del tipo "se vuoi far accadere X allora puoi far accadere Y". La logica delle asserzioni scientifiche è tale che esse non possono in alcun modo trasformate in enunciati che esprimano, sia pure in modo condizionato, il comando di adottare la prassi scientifica. > Come vedi la scienza contempla la volontà, ma la contempla affermando > che se si vuole che accadano certi eventi bisogna compiere certe azioni, > e non altre. Qui sopra ho cercato di mostrare perché, a rigore, la scienza non può nemmeno dire "se vuoi che accada questo evento allora *devi* mettere in atto questa prassi". > Dunque per la scienza il fatto che la prassi da adottare per ottenere > un certo risultato voluto sia questa anziché quella, non è un voluto. > È un voluto il risultato, ma il nesso fra la prassi da adottare e > l'effetto > voluto non è un voluto. "se accade A allora accade B": certamente per la scienza il nesso fattuale espresso da quest'enunciato non è un voluto. Ma se è vero che la scienza ha una concezione probabilistica dell'evento, e se è vero che la riflessione sullo statuto epistemologico delle asserzioni scientifiche ha fatto emergere l'aspetto ipotetico di queste ultime, allora è vero che il nesso fattuale espresso da quell'enunciato non può consistere in una necessità. Sì che l'affermazione di quel nesso fattuale non può consistere nella affermazione di un necessità. > Tu invece presumi ben altro. Per quanto mi sia difficilissimo farti dire > "come la pensi", mi sembra che tu ritieni che ci siano delle ottime > ragioni > per affermare: Qui sotto fornisci il riassunto di una posizione che potremmo certamente chiamare "idealista". Ciascuno di noi cerca di costruirsi una raffigurazione delle tesi a lui avverse. Direi però che innanzitutto la mia posizione - ciò che esprime "come io la penso" - vuole soffermarsi su quanto detto sopra: l'affermazione scientifica di un nesso fattuale non è l'affermazione di una necessità. Sicuramente il fatto che non si tratti di affermazioni di una necessità, non implica che si tratti di affermazioni "arbitrarie". Ma allora quale significato dobbiamo assegnare all'affermazione che le asserzioni scientifiche non esprimono una necessità? La domanda secondo me resiste alla lezione nietzscheana in base alla quale caduto il mondo vero caduto anche il mondo delle apparenze. Tu stesso, più sotto, ammetti la possibilità di considerare come un voluto il nesso tra una certa prassi ed un certo risultato. "Voluto", allora, è il termine che, sul piano della riflessione razionale, serve a costruire la risposta a quella domanda. Quello che *penso* è che la "gabbia dei leoni" sia il modo in cui *originariamente* la volontà vuole il mondo. Il mondo originariamente voluto, è il mondo che, alla volontà di sopravvivenza, appare come il mondo in cui sopravvivere. Che il mondo che, alla volontà di sopravvivenza, appare come il mondo in cui sopravvivere sia a sua volta un voluto, è un contenuto che la ragione può pensare coerentemente. E' chiaro che se la ragione o chi per essa dicesse che cosa bisogna fare per uscire dalla <>, allora essa non produrrebbe altro che una ulteriore esemplificazione dello schema "se vuoi far accadere X allora devi far accadere Y" - esemplificazione che verrebbe subito registrata sul tuo librone delle prassi;-). Quello che si può...fare (ma non prendere già la penna!:-)) è di determinare la <> - la condizione, cioè, in cui ogni prassi è esposta al fallimento dell'aspettativa in essa contenuta - come una contraddizione. A questo punto la struttura del superamento della <> sarà identica alla struttura del superamento della contraddizione. Dunque, se tu accetti (e per farlo, ci sono un bel po' di premese da mandar giù) la riduzione logica della <> ad una contraddizione, e se dunque accetti l'isomorfismo logico tra il superamento della <> ed il superamento della contraddizione, la discussione si sarà trasformata nella discussione su come e perché la prescrizione della non-contraddizione, ed il superamento della contraddizione, non possano finire annotati nel tuo librone delle esemplificazione prassiche di "se vuoi far accadere X allora devi far accadere Y". Un saluto (ho scritto tutto molto di fretta, per cui mi perdonerai eventuali errori), Marco