Subject: Re: Dfinizione del filosofo Date: Sun, 30 Mar 2008 09:26:33 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato > > Ma che cosa è questo esser della verità sotto gli occhi? > > E se fosse un *dirsi da sé*? Davide Pioggia: > No, la verità non ha bisogno di parlare. Si limita a starsene sotto gli > occhi di tutti. > > Ad esempio se ti muore una persona cara piangi, e in quella sofferenza c'è > la tua consapevolezza di che cosa è la morte, ché se fosse altro da quel che > è non piangeresti, ma magari rideresti. Noi di fronte alla morte piangiamo > perché sappiamo bene che cosa è la morte, a prescindere da quello che ci > hanno raccontato o che andiamo a raccontare in giro. Non c'è bisogno di dire > che cosa è la morte: lo sappiamo. Se parliamo della morte è solo per > mentire, qualunque cosa diciamo. > Marco: > > E' chiaro che questo tuo condizionale presuppone che la verità che è sotto > > gli occhi di tutti, sia una verità che il dire del linguaggio cerca in > > qualche modo di occultare Davide Pioggia: > Infatti, il linguaggio è quella cosa che serve per mentire - anche quando > cerca di smascherare sé stesso. L: Quindi ora tu stai mentendo? > Marco: > > (e dunque ha una connotazione negativa rispetto all'occultante). Davide Pioggia: > Non è tanto una connotazione negativa, quanto una constatazione. Se fosse > una connotazione negativa starei dicendo che gli uomini sono corrotti dalla > passione della menzogna. Invece mi limito a constatare che la condizione > umana è talmente fragile e disperata che per sopravvivere abbiamo bisogno di > raccontarci continuamente delle balle. È per questo che abbiamo inventato il > linguaggio. > La "carta" di dire che "tutti stanno raccontando delle balle" la sta giocando Boselli, mi pare. Il problema è che si introduce il concetto del mentitore di Creta. E' l'apolitica dei "disperati". Il gioco -per cui- quando ti accorgi di stare perdendo -> fai saltare il tavolo -> dici che le regole non sono più valide. Il gioco del distruttivismo, del rinunciare al dialogo come prologo all'importanza del dirsi, per generare il futuro. C'è poco -in caso contrario- da dire che cit: "Beh, ma non ero mica andato via :-)" Il diritto di critica -noto che nessuno vieta (fino a prova contraria)- di proporre delle alternative, va -però- fondato. Va _fondato_ in modo costruttivista, poiché se così non facessimo staremmo dicendo che non è verificabile _da chiunque_ ed è inutile il linguaggio. Quindi è pertinente riferirsi all'icona del Cristos di YHWH -> nell'ipotesi che sia l'incaranazione, la materificazione, dell'assoluto, di ciò che ipoteticamente non dovrebbe essere soluto, solubile, discioglibile in un particolare, ma osservabile solo nell'universale, salvo il rinunciare al quadro complessivo. La *verità* allora, per colui che accende una lampada, si veste allora di nuovo. Non è più un fatto morto, oggettivo ed oggettivizzabile, ma una direzione, una direzione *costruttivista* verso cui cercare. Anzi la dinamica del cercare, come anche intuiva Maurizio (qf), diviene testimonianza, testimonianza di un processo (quindi dinamica) -> e -dunque anche - la connotazione del nostro id, nella identificazione di noi stessi -> grazie -principalmente- a noi stessi, oltre che il contesto con cui ci relazionammo. Io ascolto il tuo silenzio, e vi trovo anche il mio. Vi è la paura che parlarsi non serva a nulla e anzi peggiori tutto, che forse era meglio tacere. "Eppure io vi dico che tutto questo passerà e solo le mie parole non passeranno" diceva Cristo. E' vero? Si può vedere se le nostre parole siano in grado di avere una dignità -> solo provando (magari avendo usato -prima- l'estrapolazione). Allora esaminare le citazioni di Cristo non è esaminare un personaggio storico. E' il paradigma del vedere se -nonostante la distanza (tra un umano e un Dio che vuole vedere cosa si prova a scendere in un corpo)- il metodo del parlarsi abbia una sua dignità. Grazie dell'occasione .. P.S. Sul fatto dell'immagine (da te citata): "che se piangi su una persona morta con il tuo pianto stai dicendo cosa pensi veramente e le parole sono solo un mascheramento per rassicurare te o altri": Supponiamo che io faccia cadere il mio telefonino o qualcuno mi sgraffi la mia auto. Non è *normale* che si soffra nel vedere "ferita" la realtà per come la reputiamo "sana"? Ma -evidentemente- se si parte dal pregiudizio che la materia sia l'unica cosa di cui dolersi -> è fatale -> che piangiamo il cadavere di Cristo -> e lo ricopriamo di unguenti -> e stop. Il problema, in definitiva, non è se Cristo avesse una natura solo umana, sarebbero stati cazzi suoi, scusate il francesismo. Il problema è se oltre a ciò che ci appare c'è una natura più profonda che si mostri solo -in parte- nella fenomenologia. In un certo senso, tuttaltro che banale, è il problema del perché Dio -in ipotesi che *il tutto* ci sia ed abbia una logica non precostituita e implicante il fatalismo- abbia portato allo strano caso che gli enti (singoli, ad esempio gli umani) NON abbiano una visione complessiva, teleologica, ma LIMITATA. Io la risolverei così: Prova a vedere una persona su una carrozzina. Supponiamo che possa anche scendere dalla carrozziana, ma solo camminando strusciando mani e piedi. Perché dovrebbe farlo(?), meglio andare in carrozzina. Ma -per ipotesi- supponiamo che si trovi un ostacolo davanti, un gradino, qualcosa per cui non può usare la carrozzina, e che -però- debba andare ad aiutare -insostituibilmente- qualcuno. Curerà l'handycappato l'estetica di non umiliarsi a strusciare per terra(?), o il sostanzialismo di accettare di umiliarsi pur di provare a fare ciò che gli sembra valido? Quindi non esiste solo la materia, ma la dignità che solo noi possiamo darci con il nostro fare, dire, proporre. Se non si comincia da lì è inutile chiedere -come Pilato- "Cosa è la verità?". La distanza diviene *incolmabile* perché anche il poco da cui potevamo partire si è buttato alle ortiche. Non si è in grado di capire perché si è "distrutto" un canale di comunicazione e il messaggio -come Shannon insegna- (oltre che dal messaggio intelleggibile) dipende dal canale. Bisogna -insomma- poi ipotizzare che la sfera esporabile non sia solo il fenomeno, ma ciò che consente al fenomeno di manifestarsi. Bisogna vedere la materia non solo come l'unico orizzonte esplorabile. Perché -altrimenti- si troverà solo ciò che l'occhio cercava, anche se molto altro vi era e tuttaltro che trascurabile, la vera causa del nostro soffrire o sperimentare la gioia. L