Subject: Re: il nome della cosa Date: Sun, 08 Jun 2008 10:25:48 GMT From: L Organization: [Infostrada] Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato "Marco V." wrote: > > "Davide Pioggia" ha scritto nel messaggio > > > D'altra parte dicendo "oggetto" non facciamo altro che rimandare ciò che > > stiamo cercando di dire ad un sinonimo, ché se ora volessimo dire che cosa > > sia un oggetto dovremmo dire che è qualunque cosa si possa opporre o porre > > innanzi a un soggetto, e qui cominceremmo a girare in tondo finché non > > fossimo costretti a dire "cosa" o "qualcosa". Insomma, sto parlando di > > quella certa cosa lì, che è la cosa, e tutti sanno che cosa sia anche se > > non > > sappiamo dire che cosa sia (anzi, forse tutti lo sanno proprio perché > > nessuno lo sa dire). > > Questa è una...cosa molto interessante. Supponiamo, ad esempio e come è > dettato dalla ontologia, di affermare che 'essere' è il termine più > generale, cioè massimamente universale. Per poter esprimere il fondamento di > tale universalità dovremmo usare una frase del tipo 'ogni X è un essere', > dove X dovrà *necessariamente* avere un valore linguistico (essere cioè un > termine) *differente* da 'essere'. Se infatti non ce l'avesse, allora la > frase che dovrebbe esprime il fondamento della universalità del termine > 'essere' sarebbe 'ogni essere è un essere': l'espressione del fondamento di > tale universalità, collasserebbe in una tautologia. > > X, allora, dovrà avere - ad esempio- il valore 'cosa': 'ogni cosa è un > essere'. E in effetti i pensatori greci disponevano, accanto a _to [e]on_, > di termini *pre-ontologici* per riferirsi a quegli X: per esempio, il > termine _ti_, che corrisponde al latino _aliquid_, ovvero il nostro > _qualcosa_. > > Ora, se la frase è 'ogni cosa è un essere', è chiaro che se esigiamo dal > termine 'cosa' che il fondamento della sua universalità sia espresso da una > frase del tipo 'ogni X è una cosa', avremmo un ricorso che differisce > all'infinito la fondazione dell'universalità, e che potrà essere interrotto > solo nel caso in cui, ad un certo punto, ci trovassimo alle prese con un > certo termine-base, chiamiamolo 't-b', la cui universalità sia autoevidente: > nella frase 'ogni X è un t-b', non si potrà sostituire ad X un valore > linguistico differente da 't-b'. La *inevitabilità* della ripetizione della > occorrenza di 't-b' segnalerà proprio che siamo arrivati al termine-base. La > frase 'ogni t-b è un t-b' dovrà, questa volta, significare > l'automanifestazione della universalità del termine-base, oltre il quale è > impossibile andare. > > Dicevo "inevitabilità". Ma che tipo di "inevitabilità"? Forse una "necessità > logica"? Oppure forse solo quel tipo di "inevitabilità" che si produce a > causa della situazione linguistica in cui di fatto ci troviamo a parlare? > Questione molto interessante, di cui la filosofia contemporanea (che in un > certo senso emerge proprio dalla posizione di questa questione) crede di > conoscere la risposta, e che qui mi limito a porre, a margine di questo tuo > come sempre interessante intervento. > > Un saluto, > > Marco Spero risulteranno interessanti le ragioni per cui mi trovo molto in disaccordo con l'impostazione di esplorare termini generalisti, come 'essere', con approccio top -> down. Nella tua teoria, caro Marco, espandendo il discorso di Davide, inevitabilmente arrivi ad un assunto che provo a riassumere: "Ti serve un mattone base su cui costruire (top down) una teoria di rappresentazione dell'universale" Esattamente quando dici: > Ora, se la frase è 'ogni cosa è un essere', è chiaro che se esigiamo dal > termine 'cosa' che il fondamento della sua universalità sia espresso da una > frase del tipo 'ogni X è una cosa', avremmo un ricorso che differisce > all'infinito la fondazione dell'universalità, e che potrà essere interrotto > solo nel caso in cui, ad un certo punto, ci trovassimo alle prese con un > certo termine-base, chiamiamolo 't-b', la cui universalità sia autoevidente: > nella frase 'ogni X è un t-b', non si potrà sostituire ad X un valore > linguistico differente da 't-b'. La *inevitabilità* della ripetizione della > occorrenza di 't-b' segnalerà proprio che siamo arrivati al termine-base. La > frase 'ogni t-b è un t-b' dovrà, questa volta, significare > l'automanifestazione della universalità del termine-base, oltre il quale è > impossibile andare. Nella logica formale è questo uno dei problemi degli apparati di fondazione. Si ragiona così, prima di disporre di una grammatica formale: La mia grammatica (quella che costruirò) necessita di simboli non ulteriormente scomponibili in sottodescrizioni (sotto-insiemi)? Si risponde -in genere- sì. Bene, chiamerò tali simboli "atomici". La rappresentazione -allora- per esempio nei compilatori dei computer occidentali, rinvia ad un insieme di lettere del tipo: a b c d etc a cui si fanno corrispondere -per gli automi- (in genere computers) stringhe di più bit a secondo della estensione di rappresentazione della macchina che saranno del tipo (se la macchina è a 8 bit) 00000000 00000001 00000010 etc Ometto su altre considerazioni su altre questioni che per ora non sono nel nostro "focus" di attenzione. Si noti -però- che la cosa (ossia sia la scelta dei simboli atomici, sia le tabelle di corrispondenza) non necessariamente è univoca. Basterebbe pensare che nei compilatori orientali si può scrivere su tastiere per ideo-grammi, ma pur sempre "dovendo creare un ponte verso altri enti che eseguano la rappresentazione in modo ripetibile" la scelta ottima sarà binaria (per questioni di teoria della rappresentazione ottima) quindi sarà essenziale disporre di tabelle di conversione nello spazio binario pur sempre del tipo: 00000000 00000001 00000010 Specificato quanto sopra, come si è visto, già oggi, disponiamo di sistemi formali di rappresentazione "oggettiva", ossia sulla cui correttezza di rappresentazione si esprime quella parte della macchina detta *compilatore* e che segnala un errore nel software se ci fosse qualcosa esterno alle regole cui è realizzata la grammatica su cui si fonda la macchina. Quindi *non è* un discorso -in astratto- che vi sto proponendo. Sto partendo da dei dati di fatto. Il problema che volevo sottoporvi -ora- è -a me pare- più comprensibile: La questione di esaminare "la collezione di tutte le collezioni( sull'*essere*)" respinto dalla matematica ufficiale, come del resto sottolineava anche Davide, non è respinto perché -tale problema- sia esaminabile dal generale al particolare, ma proprio perché ciò è *impossibile*, sia per l'astrazione umana, sia per le macchine. Fa bella mostra di ciò il teorema di Godel sul non potersi pronunciare su un algoritmo di ottimo nella questione del teorema dell'Halt, per esempio. Le stesse aporie -che ne fioccano a iosa- sono generate -a mio avviso- proprio dalla pretesa "atomista" ossia di poter disporre di un mattone fondamentale, senza rendersi conto che fissare -a tavolino- un mattone fondamentale è *una astrazione di modello* -> che ci porta dal linguaggio naturale -> alle grammatiche artificiali. Non che le grammatiche artificiali siano inutili, ma non sono flessibili, poiché -naturalmente- ci si aspetta che seguano delle regole! Quindi siamo _propriamente_ nel dominio della oggettificazione, nel dominio della scienza, in cui *non vi è* la libertà di farsi delle regole soggettive, ma bisogna rispettare (la materia rispetta) delle regole non arbitrarie, ma su cui è progettato il funzionamento (ad esempio dei processori logici o CPU dei computer che stiamo usando). Commistionare che tramite la oggettività si possa accedere alla soggettività ossia all'universale, è l'errore di fondo (e quindi di fondazione) di teoria dei modelli che state compiendo. Una utopia di interpretazione materialistica della storia. Come se il mattone fondamentale possa esser fissato fuori da esso mattone, che non è capace di autopoiesi, e poi dire che quel mattone è anche in grado di rappresentare il progettista che lo pensò. Naturalmente -esposto come sopra -> l'afflato a cercare un senso più generale- sembra una speranza senza soluzione. Ma è perché si pretende di mettersi sopra (esterni) al max insieme ipotizzabile e pretendere che -nonostante si stia esaminando da fuori- non si sia creata una aporia fondativa (quella per cui l'insieme esaminato non sia più "Colui di cui non vi è il maggiore=X", poiché maggiore è esso X più chi lo osserva, ossia X+1). Non io (soltanto), ma il matematico Gianbruno Guerrerio- su un articolo su Godel (su Le Scienze, i grandi della scienza, anno iv, n.19, febbraio 2001, pag. 98) chiamava ciò (vado a memoria): "collasso delle modalità (deduttive: andare dal generale al particolare) nel caso di prendere in considerazione "la collezione di tutte le collezioni", o anche detto Dio". Cerco la citazione esatta: (Sta criticando il teo di Godel sull'esistenza di Dio) == cit: («Necessariamente esiste un oggetto con caratteristiche divine») viene dimostrato in un sistema modale che porta però al cosiddetto "collasso delle modalità", ossia in esso tutte le proposizioni vere diventano necessarie. Ma, inconveniente per altri versi più grave, come rilevano tutti i commentatori non appare affatto meno problematico ammettere il gruppo di assiomi utilizzati da Godel che ammettere direttamente quel teorema. Senza contare che le caratteristiche desumibili del "Dio formale" di cui in quel contesto sarebbe provata l'esistenza lascerebbero perplessi e insoddisfatti la maggior parte dei credenti in qualsivoglia religione. == Non vi voglio annoiare -a lungo- sul fatto che una traccia di metodo su come procedere è data -per i Cristiani- da alcune teofanie: Per esempio: "Bussate e vi sarà aperto" Nelle grammatiche formali: schema bottom -> up (anziché top ->down) http://it.wikipedia.org/wiki/Top_down_e_bottom_up Altrove è detto mostrarsi di Dio ai semplici, ai piccoli, a coloro che si approcciano con umiltà. Tale schema, detto anche -in logica- dell'induzione, è -anche esso- *interno alle modalità logiche* e NON collassa anche di fronte alla collezione max, perché non ne descrive la frontiera ma ha un metodo per descriverla non la frontiera, ma la collezione stessa, senza possederla (in forma chiusa). Fornisce un metodo: dal particolare al generale in cui la regola è: "metti nel canestro ogni ente". Chi rimarrà fuori dal canestro? : - ) Anche eventuali mattoni più o meno ben fatti saranno dentro il canestro, sbeccati, rifiutati, malati, fucidi, tutti, proprio tutti saranno dentro il canestro, poiché se esisteranno saranno nell'essere poiché si manifestarono, ex-sisteranno, come dice l'etimo della parola (levarsi da, apparire). Saluti, L