Subject: Re: il nome della cosa Date: Mon, 9 Jun 2008 19:06:35 +0200 From: "Marco V." Organization: TIN.IT (http://www.tin.it) Newsgroups: it.cultura.filosofia.moderato "Davide Pioggia" ha scritto nel messaggio > Se la risposta alla domanda «What is there?» è «Every-thing», allora mi > sembra difficile affermare che il termine "cosa" non rechi, > implicitamente, > anche un significato ontologico. >[...] Ebbene, come fai a dire che quell'elemento (meta)linguistico che >indica > il posto di una variabile che può variare su *tutto ciò che c'è* è > "pre-ontologico"? Dovresti essere tu a spiegarmi che *ni-ente* è > "pre-ontologico" :-) Il linguaggio sembra restituirci un impasto di "cosalità" ed "essentità" - se mi consenti l'uso di questi termini dal sapore heideggeriano; e se me ne concedi l'uso, credo tu mi possa concedere anche che usandoli, non vengo immediatamente coinvolto in quel problema (di cui parli nell'altro post) dell'essere come "proprietà", che immediatamente mi coinvolgerebbe se io fossi costretto a dire che la "cosalità" è la *proprietà* dell'esser-cosa e l'"essentità" la *proprietà* dell'esser-essente. Tutto quello che possiamo dire per riferirci all'atto fondativo dell'ontologia come "discorso sull'essere" sta in queste due righe: <<[...] all'inizio dell'Occidente la _cosa_ incomincia ad apparire come ciò-che-è, cioè come _ente_ (_to on_)>> [E. Severino in "Oltrepassare", ed. Adelphi 2007]. Tanto il discorso sull'essere quanto il discorso sul discorso sull'essere sono, appunto, discorsi, e come tali sono interni al linguaggio: se è vero che ciò non vale affatto come dimostrazione della (abusatissima) tesi che l'essere è linguaggio, in ogni caso tali discorsi non possono in alcun modo evadere i limiti del rapporto tra linguaggio e mondo. Non appena noi volessimo parlare di un termine affermandone l'originarietà del rapporto che esso intrattiene con il mondo, tale affermazione andrebbe incontro alla seguente aporia: l'affermazione della originarietà di un termine richiede *un altro termine*. Ad esempio, si dovrà dire: ogni cosa è un ente. E proprio con 'cosa' sembra che noi abbiamo raggiunto il limite del rapporto tra linguaggio e mondo, perché...già, perché? Se volessimo usare lo schema "ogni X è una cosa" mettendo al posto di X un termine o una espressione differente da 'cosa', allora saremmo punto e daccapo. Piuttosto, potremmo dire che con 'cosa' abbiamo raggiunto il limite del rapporto linguaggio-mondo perché qualunque termine noi mettessimo al posto di X, esso sarebbe sottoposto alla domanda 'che _cosa_ è', 'che _cosa_ significa' etc. Ma tutto questo "movimento" logico lo stiamo facendo proprio perché abbiamo parlato di un rapporto linguaggio-mondo: se infatti, per nominare la realtà extralinguistica, avessimo usato non il termine 'mondo' ma il termine 'cosa, ed avessimo conseguentemente parlato di un rapporto linguaggio-cosa, allora sarebbe stato immediatamente evidente che il termine 'cosa' si situa sul limite del rapporto linguaggio-cosa. Tutto questo non riflette altro che il fatto che per riferirci al rapporto tra la realtà linguistica e la realtà extralinguistica, usiamo un termine: quest'uso fa sì che il rapporto linguaggio-extralinguaggio venga incluso nel linguaggio. Tornando, adesso, alla questione del carattere pre-ontologico della "cosa". Dicendo che 'cosa' è un termine pre-ontologico volevo dire, prima di tutto, che 'cosa' è il termine mediante il quale noi possiamo riuscire a riferirci sensatamente all'atto fondativo della ontologia - dicendo, appunto, che l'ontologia sorge quando ogni cosa è pensata come "essere". Il _to on_ dei greci è il termine che, nella lingua greca, consente quella determinazione di quella unità del molteplice la cui ricerca contiene l'inizio del pensiero scientifico occidentale (ed ogni cosa che inizia, resta in un certo senso contenuta nel proprio inizio, per quanto lontana possa andare). La consente in che senso? Se noi possiamo dire che l'affermazione che 'ogni cosa è un essere' consente la determinazone della unità del molteplice, è perché con tale affermazione riusciamo a non rimanere immediatamente intrappolati in quella aporia logica in base alla quale dicendo 'ogni cosa è un essere' stiamo negando al termine 'essere' quella capacità di determinare l'unità del molteplice, la quale capacità intendiamo affermare; la stiamo negando, dice questa aporia, proprio perché stiamo usando un altro termine, 'cosa', che, nell'ordine dell'unificazione del molteplice, ha priorità su 'essere' (ma, ovviamente, non appena tentassimo di affermare esplicitamente che è 'cosa' il termine capace di determinare l'unità del molteplice, resteremmo impligliati nella medesima aporia). Se riusciamo a prender le distanze da questa aporia, è perché _to on_ indica un insieme di schemi categoriali mediante i quali noi riusciamo a *pensare* certe...cose fondamentali. Nello schema ontologico, ad esempio, pensare la differenza tra le cose - e lo spettacolo della differenza tra le cose è lo spettacolo più proprio per lo sguardo dell'uomo - è pensare la *negazione dell'essere*: A non è B (di qui tutti i casini che sai; casini che, secondo alcuni, non sono affatto stati risolti dalla logica formale[*]): diremo 'questa cosa _non è_ quest'altra cosa'. Pensare il carattere di "positività" della cosa, è pensarla come contrapposta al "ni-ente". D'altra parte, lo stesso pensamento ontologico della differenza tra A e B non può essere facilmente separato dal pensamento della negazione dell'essere della identità tra A e B. Questi schemi, che consentono di pensare le...cose fondamentali delle...cose, si rendono disponibili una volta che la "cosa" sia stata collocata nella dimensione del _to on_. [*] D'altra parte, come la stessa riflessione logica contemporanea riconosce, tutte le principali mosse con cui la logica contemporanea ha dissolto le aporie sollevate dal discorso ontologico corrispondono a prescrizioni convenzionali. Le quali, al più, riescono ad indicare che quelle aporie filosofiche, se si *vuole*, possono essere dissolte. A presto, Marco